A cura di Melania Mocerino
Correva l’anno 1050, circa, e, a Salerno, in un mondo dominato da uomini, si faceva strada Trotula de’ Ruggiero, forse la prima ginecologa della storia.
Nascere donna in pieno Medioevo non era proprio una gran fortuna, ma nascere donna a Salerno lo era, e Trotula ne fu l’esempio. La città, al tempo oasi illuminata e crocevia di scambi economici e culturali con l’oriente, ospitava dal IX secolo la celeberrima Scuola Medica Salernitana, che raccoglieva il meglio della tradizione latina, greca e araba in ambito medico. In questa scuola erano ammesse anche le donne, le mulieres Salernitane, esperte di medicina, che preparavano cosmetici e cure per la nobiltà.
La più nota tra le medichesse salernitane fu proprio Trotula, esponente della nobile famiglia salernitana de’ Ruggiero. Sul suo conto si è scritto e fantasticato tanto, forse anche troppo. Se vi state chiedendo il perché, provate a immaginare che tipo di fama potesse avere una donna medico durante il Medioevo.
Trotula era coltissima e molto intelligente, e aveva letto più libri di quanti ne avessero mai anche solo aperto gli uomini della sua città; è stata l’unica donna, tra le poche ammesse alla scuola, a lasciare traccia della sua opera; si occupava di materie fino a quel momento poco studiate e abbastanza scomode, come la fertilità della donna e il suo benessere; conosceva le erbe, ed era in grado di curare ogni malessere con le piante del suo giardino. Insomma, aveva tutti i requisiti per essere accusata di stregoneria (come si era soliti fare nei confronti delle donne con queste caratteristiche) ma, per fortuna, Trotula era legittimata dalla sua posizione di medico apprezzato e riconosciuto dagli uomini della sua cerchia. Fu, addirittura, menzionata, anche se in un contesto alquanto misogino, da Geoffrey Chaucer in uno dei racconti di Canterbury, il che attestava la fama della medichessa salernitana.
Sulla sua vita privata non si sa molto; era sposata con un medico, Giovanni Plateano, ma non si è certi sul fatto che sia stata lei a volere le nozze: Paola Presciuttini, nel suo romanzo storico “Trotula”, descrive un matrimonio non proprio felice.
Altro dato certo è che ebbe due figli, i quali divennero entrambi medici. La maternità non la allontanò dei suoi impegni professionali, e probabilmente il suo rapporto coniugale ne risentì. Si racconta che Trotula arrivò ad abbandonare la famiglia, ma non sappiamo quanto questa informazione sia attendibile.
Per fortuna, abbiamo molte notizie attestate sulla sua vita professionale, che fu davvero straordinaria. A lei va il merito di aver affrancato la ginecologia e l’ostetricia dall’appannaggio esclusivo di levatrici e mammane, e di averle elevate a discipline mediche.
Durante il Medioevo, la medicina femminile, soprattutto nella sfera della sessualità, era un mondo oscuro, ricco di tabù, di cui si occupavano gli stregoni, le cui pratiche si rifacevano a tradizioni mitologiche. Trotula, invece, in qualità di medico si occupava delle patologie legate alla sessualità, senza pregiudizi e senza preoccuparsi del fatto che questi argomenti avrebbero potuto turbare l’etica del tempo.
Sono tre gli scritti che le si attribuiscono: “De Passionibus mulierum”e “De curis mulierum”, due manuali di ostetricia, ginecologia e puericultura (i primi attribuiti a una donna) che trattavano aspetti tutti femminili, come il ciclo mestruale, la gravidanza, i rischi legati al parto, l’allattamento, le difficoltà del concepimento, le malattie dell’utero e l’isteria; “De ornatu mulierum”, che invece è un trattato di cosmesi, il quale insegnava alle donne come prendersi cura della propria bellezza, e come curare le malattie della pelle. Di questi testi, purtroppo, non ci sono giunti gli originali, ma soltanto dei manoscritti modificati e ampliati nel corso dei secoli.
I suddetti trattati, che presto conquistarono la dignità di testi scientifici, si rifanno ai principi della Scuola Medica Salernitana, i quali avevano trasferito gli elementi costitutivi della filosofia greca antica (acqua, aria, fuoco e terra) nei fondamenti della medicina, riconoscendo ogni elemento in uno o più organi del copro umano: il sangue, caldo e umido come l’aria; il flegma, freddo e umido come l’acqua; la bile nera, fredda e secca come la terra; la bile gialla, calda e secca come il fuoco. La sanità del corpo umano sta nell’equilibrio dei quattro caratteri, e se uno prevale sugli altri tale equilibrio viene a mancare, e insorge la malattia, che verrà curata nel tentativo di ricreare l’armonia perduta.
La medichessa sottolineò sempre l’importanza dell’igiene personale, del controllo delle nascite, ed ebbe intuizioni che cambiarono la visione della sessualità: si rese conto che casi d’infertilità in alcune coppie potessero dipendere anche dall’uomo e non solo dalla donna, come invece si era soliti pensare fino a quel momento. Immaginate quanto scalpore dovette suscitare all’epoca un’ipotesi del genere!
Trotula, come avrete avuto modo di capire, era una donna illuminata e all’avanguardia, al punto da aiutare le ragazze che avevano avuto rapporti sessuali prima del matrimonio a ritornare vergini, suggerendo loro una serie di rimedi presenti nel “De ornatu mulierum”. Dispensava addirittura consigli su metodi anticoncezionali, suscitando l’indignazione dei suoi contemporanei.
Un altro esempio della sua modernità: spiegava come apportare sollievo ai problemi delle vergini o delle vedove private della regolare attività sessuale, tramite un calmante che smorzava il desiderio sessuale, e alleviava prurito e dolore dovuti all’astinenza. Ho avuto il piacere di leggere uno degli scritti attribuiti alla nostra Trotula, grazie al regalo di un’amica, e vorrei soffermarmi proprio su di esso: “De ornatu mulierum”. Si tratta di un trattato breve, che raccoglie tutto ciò che la tradizione araba, greca e latina aveva espresso in termini di cura della bellezza femminile, cui Trotula aggiunse ciò che ella aveva appreso dalla cultura popolare salernitana, fondata su una competenza straordinaria in fatto di erbe officinali, coltivate nei giardini dei monasteri o privati, e ciò che aveva fatto nella sua carriera professionale. La novità sta nel fatto che, per Trotula, questo tema non fosse affatto secondario. La cura della bellezza di una donna, infatti, si collegava alla filosofia cui s’ispirava la sua arte medica: la bellezza è segno di un corpo sano, dell’armonia con sé stessi e con l’universo. Ella, inoltre, professava che la prima cura della salute sta nella prevenzione: attività fisica, igiene e sana alimentazione, tutti rimedi all’epoca alquanto insoliti.
Ho pensato che sarebbe carino riportare qualche passo del trattato di cosmesi, sia per farvi avere un’idea dei rimedi consigliati da questa donna straordinaria, ancora oggi circondata da un alone di mistero, per il suo essere donna e medico in un’epoca in cui ciò non era affatto “normale”, sia per riflettere insieme a voi su quanto la medicina erboristica che oggi conosciamo, e pratichiamo derivi da un’arte medica antica quanto è antico il tempo.
La cura dei capelli.
Se una donna vuole avere capelli neri e lunghi, prenda un ramarro, lo privi della testa e della coda e lo lasci cuocere nell’olio; con questo olio si tinga la testa, ed avrà capelli neri e lunghi. Per avere i capelli biondi. Prendi della feccia di vino bianco e del miele, e mettili a cuocere fino a ottenere un preparato della consistenza di una pomata. Spalmaci i capelli. Per avere i capelli ricci. Pesta radice di ebbio con olio e ungine i capelli, corpi il capo con delle foglie e legale. Per far crescere i capelli. Pesta radice di altea o di galla di quercia con grasso di porco, e metti a bollire nel vino, a lungo. Poi aggiungi cumino ben tritato, resina di lentisco e tuorli sodi sbriciolati, e mescola per un poco. Quando il tutto sarà ben cotto, filtra attraverso un panno di lino e lascia raffreddare. Raccogli il grasso coagulato in superficie e, dopo esserti ben lavata i capelli, ungili con quello.
La cura del viso.
Le signore salernitane usano, per rendere roseo il viso, questo preparato: mettono nel miele radice fresca di brionia, nota come zucca selvatica, e se ne spalmano il viso, ottenendo un incarnato mirabile.
Ut virgo putetur que corrupta fuit.
Come fare perché una donna che ha avuto rapporti sessuali venga ritenuta vergine. Prendi galle di quercia e falle bollire in acqua, e con questo decotto la donna si lavi la vagina, e poi vi versi polvere di bolo armeno e di galle di quercia. La vagina si restringerà.