A cura di Yasmin Hadjeres
“Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo.”: così si confida Caterina Sforza ad un frate prima di morire. Eppure, senza che lei abbia scritto “tutto”, lo stupore, tra la sua vita, le sue imprese e la sua mente acutamente all’avanguardia, giunge lo stesso, facendo di questa donna una delle più interessanti del periodo tardo medievale-rinascimentale.
Caterina nasce nel 1463 a Milano, terza dei quattro figli nati dall’unione tra Galeazzo Maria Sforza, primogenito erede al ducato degli Sforza, nipote del condottiero Muzio detto “lo Sforza”, fondatore della casata, e Lucrezia Landriani, sua amante. Crebbe alla rinomata corte di Milano dal 1466, anno in cui Galeazzo diventò Duca, ricevendo la stessa educazione dei suoi fratelli che comprendeva la caccia, la politica e l’uso delle armi, in un clima umanistico e di grande apertura culturale.
A soli 10 anni però, nel 1473, vennero già organizzate le sue nozze con Girolamo Riario, nipote di Papa Sisto IV, che grazie a suo zio serviva come signore di Imola, dove Caterina entra nel 1477, come legittima signora di Imola, giungendo quindi presso l’importante corte di Roma, nella quale si inserì molto rapidamente, ritrovando l’ambiente culturalmente elevato e distinto che aveva contraddistinto anche la corte della sua infanzia.
Da acerba adolescente diventa ben presto una donna, tra le più belle, ammirate e benvolute grazie ai suoi talenti nella caccia, alla sua bellezza ed alla sua grazia, mentre suo marito accresceva il suo potere, occupandosi di politica, ed alla morte del fratello, diventando quindi il servitore prediletto del Papa, ottenendo anche la signoria di Forlì, accrescendo e consolidando i domini della Chiesa nel centro della penisola. Sfortunatamente per i Riario, il Papa morì ben presto nel 1484, il quale decesso gettò nel caos i domini papali e la città di Roma, che venne presa d’assalto.
Tra il terrore ed i saccheggi, che inclusero anche la loro residenza a Campo de’ Fiore, Caterina andò a cavallo con un gruppo di soldati a lei fedeli ad occupare Castel Sant’Angelo per conto del marito, governatore della rocca. I disordini ed il presidio, si sarebbero potuti arrestare solo con l’elezione di un nuovo Papa: ma i cardinali rifiutavano di riunirsi in conclave, e Caterina di cedere la rocca se non al nuovo Papa eletto, resistendo eroicamente per due settimane, finché Girolamo non accettò la resa in cambio di risarcimenti, ottomila ducati e la conferma delle due signorie.
I Riario lasciarono Roma per andare a soggiornare presso Forlì, mentre si preparava un nuovo conclave. Venne dunque eletto Innocenzo VIII, nemico per i Riario, che infatti si premurò subito di tenere Girolamo e Caterina lontani dalla corte di Roma, dando a Riario incarichi formali e nessuna retribuzione. In questa situazione e con una spesa pubblica sempre più alta, Girolamo dovette ripristinare i dazi dai quali gli abitanti di Forlì erano esentati, facendosi nemico qualsiasi ceto sociale, molti dei quali già scontenti dell’enorme potere suscitato dai Riario.
Si aprirono quindi scenari di cospirazione capeggiati dagli Orsi, che culminarono con l’uccisione di Girolamo nel 1488, e la prigionia di Caterina e dei loro figli.
Con il piano di convincere l’ultima rocca rimasta fedele ai Riario a capitolare, Caterina si inserì lasciando i propri figli agli Orsi come garanzia; una volta dentro complottò ovviamente la riconquista del potere, noncurante del destino dei figli, che avrebbe vendicato in caso di uccisione. Emblematica è la leggenda non documentata di Caterina che dalle mura della rocca si sarebbe alzata le gonne sfidando gli Orsi ed esclamando “Uccideteli! Qui ho di che farne altri!”.
I rischi corsi da Caterina vennero premiati in quanto recuperò i governi grazie anche all’appoggio dello zio Ludovico Sforza detto “il Moro”, che iniziarono nel 1488, per conto del figlio Ottaviano. Come prima cosa fece imprigionare tutti i cospiratori, comprese le mogli e le loro famiglie.
Da lì, iniziò ad occuparsi di tutte le questioni di stato, pubbliche, private, economiche ed anche militari, conducendo operazioni diplomatiche tra gli stati ed ignorando il fatto che Roma esercitava pressioni costanti per influire sul suo governo. Notevolmente, fu l’unica che riuscì a rimanere grossomodo neutrale riuscendo a mantenere i favori sia del nuovo papa Alessandro VI che del ducato di Milano nei momenti di instabilità delle rivendicazioni agioine di Carlo VIII. Caterina era astuta, e sapeva che essendo il suo territorio centrale nella penisola, sarebbe sempre dovuta rimanere molto diplomatica per non essere accerchiata.
Nel 1488, era ancora una donna giovane, e si innamorò follemente di Giacomo Feo, il giovane fratello di Tommaso, il castellano rimasto fedele ai Riario durante la rivolta, col quale si sposò in segreto, per non togliere la legittimità ai figli. Purtroppo questa cosa non fu vista di buon occhio da nessuna famiglia, e nemmeno dagli stessi figli che vedevano comunque in Giacomo una figura di potere, che aveva “stregato” la madre. Iniziarono quindi i complotti per assassinarlo, capeggiati dallo stesso Ottaviano, che trovarono successo nel 1495.
La vendetta di Caterina fu tremenda e sanguinaria: non si limitò ad imprigionare stavolta, ma uccise e fece torturare intere famiglie, prova ancora una volta di come non fosse una donna da sfidare.
Non rimase però, vedova a lungo: già nel 1496 organizzò, stavolta con l’approvazione dei figli e sopratutto del Moro, il suo terzo matrimonio con Giovanni de’ Medici, detto il Popolano, cugino del Magnifico ed ambasciatore di Firenze, dal quale nacque il famoso Ludovico, meglio conosciuto come Giovanni dalle Bande Nere. Un matrimonio non senza pesanti implicazioni politiche, e che si andava inserendo nel già intricato conflitto tra Firenze e Venezia, che sfociò ben presto in battaglia, durante la quale Giovanni si ammalò gravemente e morì nonostante ogni tentativo di cura, nel 1498, lasciando Caterina vedova per la terza volta.
Nonostante le tragedie, la nostra eroina non si guadagnò l’appellativo di “Tygre” per nulla; senza perdersi d’animo un momento, riorganizzò le sue truppe per difendere i suoi Stati, dirigendo personalmente con gran maestria tutte le operazioni militari, e avendo la meglio alla fine, dopo varie battaglie, sui veneziani.
Ma le imprese della tigre romagnola non facevano che cominciare, laddove ben presto se la sarebbe dovuta vedere, nel 1499, con un nemico molto più potente: il Valentino.
Cesare Borgia, vantava infatti pretese sulle terre di Romagna per la costituzione di una suo regno personale che gli sarebbero state cedute grazie all’alleanza tra il Papa e Luigi XII, il nuovo re di Francia, giunto per rivendicare la maggior parte della penisola, cosa che stava già avvenendo, in particolare dopo la fuga del Moro.
Caterina era rimasta da sola a difendere le sue terre, senza l’aiuto di Firenze, che per conto suo doveva già vedersela col papato, o aiuti da parte di altri Stati, arruolò quanti più uomini poteva, riorganizzando e rinforzando le sue difese militari e le sue fortezze. In breve tempo, Imola si piegò all’assedio di Cesare Borgia a capo di un folto esercito di forze francesi, e venne presa; vedendo questo, Caterina decise di concentrarsi su Forlì, resistendo nella sua roccaforte da metà novembre.
Il suo avversario tentò numerose volte di convincerla a cedere, ma lei non lo fece mai; anzi, mise una taglia sulla sua testa e tentò addirittura di farlo prigioniero in uno dei dialoghi che intentava. Iniziarono quindi numerosi ed estenuanti bombardamenti: le forze della Signora erano in gran numero inferiori, ma resistevano e riuscivano addirittura ad arrecare danni.
Caterina era ammirata da tutta la penisola e da tutti gli Stati per questo suo eroismo, ancora di più quando arrivati a gennaio, il Valentino decise di iniziare a bombardare senza pause giorno e notte le mura della rocca, riuscendo dopo giorni a creare delle breccie: purtroppo, dopo una lunga battaglia in cui combatté personalmente corpo a corpo, Caterina venne fatta prigioniera, sotto la custodia del Borgia. Dopo un tentativo di fuga, venne rinchiusa presso Castel Sant’angelo a Roma.
Dopo un anno di prigionia, venne liberata nel 1501, ma sotto le pressioni di Alessandro VI, dovette rinunciare ai suoi territori a favore del Valentino, che intanto era diventato Duca di Romagna per aver conquistato anche altri stati. In un primo momento acconsentì, per partire alla volta di Firenze, dove si sarebbe ricongiunta con la sua famiglia.
Nel 1503, con la morte di Papa Borgia e la caduta in disgrazia di Cesare, si riaprirono gli scenari per Caterina che tentò un rinsediamento, caldeggiato dal nuovo Papa Giulio II, ma non dagli abitanti dei due Stati, che preferirono la famiglia Oderlaffi.
Dedicando gli ultimi anni della sua vita alla famiglia, Caterina morì nel 1509.
Come si sarà capito, Caterina Sforza era una donna fuori dal comune, nella vita pubblica così come nel privato, ed in particolare nelle sue passioni: tutta la vita si è occupata di erboristeria, cosmetica ed alchimia, in tempi nei quali veniva ancora considerata stregoneria.
Era considerata, fin dall’adolescenza ma anche in età adulta, una delle donne più belle di tutte le corti, e teneva a preservare questa sua qualità dedicandosi a numerosi esperimenti chimici, fino alla fine della sua vita.
Di una curiosità e di un acume eccezionale, intratteneva corrispondenze con medici, monaci, scienziati, donne di vario rango e fattucchiere per crearli, ed annotare tutto nel suo libro “Experimenti della excellentissima signora Caterina da Forlì”, 454 ricette dedicate a viso, corpo, capelli e cura delle malattie più comuni per l’epoca.
Il documento è importantissimo non solo per fornirci indicazioni circa Caterina e la sua figura, ma per testimoniare dello stato delle conoscenze al bivio di due epoche, e per far luce su alcune che verranno fatte da lì a poco.
Come possiamo osservare dai ritratti di Caterina, una delle caratteristiche fondamentali per la bellezza dell’epoca era la pelle bianchissima, senza discromie e macchie.
Ecco alcuni metodi per ottenerla secondo gli “Experimenti”: “Piglia la chiara de ove e falla distillar in alambicco et con quella aqua lava la faccia che et perfectissiina a far bella et leva tutti li segni et cicatrici”, e in effetti, il bianco d’uovo viene usato in molte ricette ancora oggi!
Molto inusuale però, la presenza anche di alcune ricette per creare un finto colorito, che potremmo definire gli antenati degli autoabbronzanti: “piglia radice di mira el sole et radila et metila in bono vino che farà bonissimo colore et bello” o ancora “piglia scorze di noce fresche, meloni selvatici et pista insieme et lascia stare un di o doi poi metti in alambicco et stilla et con quella aqua bagna dove voi che farà negro benissimo.”
Molto popolari quindi le tecniche di distillazione e di infusione, ma anche di macerazione, anche negli alcolici, in particolare l’acquavite, che si ritrova spessissimo nelle ricette di Caterina, come in questa complicatissima “Aqua celeste che fa rengiovanire la persona, et de morto fa vivo” (la nostra Signora era anche un’evidente esperta di marketing con questi slogan) con più di 30 ingredienti: “piglia garofani, noce moscata, zenzero, pepe lungo, pepe rotondo, grani di ginepro, scorza di cetrangoli, foglie di salvia, di basilico, di maggiorana, di fine menta, rose bianche e rosse,sambuco, fichi secchi (…) che ogni cosa sia en polverizzata, metti in aqua vite in una bottiglia ben chiusa et lasciala doi giorni poi metti nel fornello coti alambicco et distilla cinque volte, con fuoco lento, uscirà un’aqua rarissima et preziosa.”
Non mancano ricette per rassodare il corpo, per depilarsi, con la rusma ad esempio, per rendere i denti bianchi, guarire dai calli, dalle scottature, curare gli occhi… Ma ovviamente una gran parte era dedicata ai capelli, che Caterina aveva bellissimi, lunghi e biondi, anche se non è chiaro se fossero naturali o meno. Nel suo libro, si possono trovare modi per tingerli “castani, negri e biondi”, coprendo i bianchi stando ai testi, con decotti di mela i primi, con un unguento a base di pigna i secondi e con ortica e lisciva di cenere gli ultimi. Un impacco a base di polvere di corna di montone mista ad olii li renderebbe invece “rizzi”, pura suggestione basata sulla somiglianza delle corna del montone a dei ricci.
Efficaci o meno, le ricette e la completezza del documento ne fanno il più completo sulla medicina e le cure cosmetiche del XV secolo, e fanno di Caterina Sforza un’eroina del primo rinascimento a tutto tondo fra politica, cultura e società, nonché una delle figure più importanti della storia “italiana”, che passa invece ingiustamente spesso in secondo piano dietro a ben più illustri pittori o scrittori.