A cura di Melania Mocerino
“Tutto quello che voglio è essere sempre giovane e irresponsabile, e sentire che la mia vita è mia per vivere ed essere felice e morire a modo mio per far piacere a me stessa”.
Queste sono le parole di una delle donne più anticonformiste e tormentate della storia dei Roaring twenties, ossia dei ruggenti anni venti: Zelda Fitzgerald, seducente icona di uno stile ancor oggi, a settant’anni dalla sua morte, attualissimo.
Zelda Sayre, così si chiamava da nubile, nacque a Montgomery, in Alabama, il 24 luglio del 1900. Bambina viziata, presuntuosa e capricciosa, era amatissima dalla madre, ma non dal padre, un potente magistrato, severo e poco presente.
Fin dall’adolescenza mostrò il suo carattere ribelle e anticonvenzionale: portava i capelli alla garçonne, fumava, beveva alcolici, adorava la musica jazz e il Charleston, ed era sempre attorniata da giovani corteggiatori. Si racconta che fosse una vera leader nella sua cerchia di amici, e che possedesse un carisma non indifferente.
Fu un’icona di stile e, soprattutto, un modello di emancipazione femminile per le donne “moderne”, le Flapper, conosciute anche come “maschiette” per l’iconico taglio di capelli, ancor oggi in voga, che sfoggiavano con fierezza: il cosiddetto bob, portato sia liscio che mosso, come nel caso della nostra protagonista.
La moda ed il make up in quel periodo erano veramente accattivanti e singolari; quale donna del ventunesimo secolo non ha desiderato, almeno una volta, somigliare a una diva dell’età del jazz?
Questa moda così rivoluzionaria, che introdusse abiti dalle linee morbide adattissime al nuovo stile di vita femminile, ispira ancora oggi stilisti e case di moda.
Nascoste per secoli sotto lunghe e ampie gonne, le gambe videro finalmente la luce; i corsetti furono banditi, ormai troppo scomodi per ballare il vivacissimo charleston. Gli abiti si accorciarono e si arricchirono di frange, paillettes e lustrini.
La lunga collana di perle, che spesso rubiamo dai cassetti delle nostre nonne, fu l’accessorio preferito dalle donne del tempo. Le scarpe più utilizzate erano le tipiche “Mary Jane”, che ancor oggi amiamo indossare: tacco a rocchetto e un grazioso cinturino alla caviglia, che teneva il piede ben fermo durante le danze più sfrenate.
Il rossetto rosso era, in quel periodo, un must-have, e poteva essere indossato come simbolo, non di seduzione, ma d’indipendenza, emancipazione e autoaffermazione, anche da donne proto-femministe come la nostra “eroina”, che in fatto di stile fu una vera e propria influencer d’altri tempi.
A proposito di rossetto, come si truccavano Zelda e le sue coetanee?
Le Flapper avevano un aspetto molto sofisticato: la pelle del viso, sempre tonica grazie a veri e propri impacchi fatti con cubetti di ghiaccio, veniva costantemente incipriata, ed era rigorosamente diafana. L’unica nota di colore era riservata alla bocca, dove il rossetto veniva messo nella parte interna in modo da ricreare il famoso effetto a cuore, e alle gote, sulle quali non mancava mai un velo di fard sui toni del rosso (il fard rosa fu utilizzato solo verso la seconda metà del secolo) per un aspetto bonne mine. Gli occhi, incorniciati da sopracciglia sempre curatissime, sottili e rotonde, apparivano molto luminosi grazie alla vaselina, che conferiva allo sguardo un aspetto glow; il mascara, all’epoca compatto, era immancabile, anche se spesso si preferivano le ciglia finte, per un effetto più drammatico. Un altro prodotto cui una donna dell’epoca non rinunciava mai era il profumo: gli anni Venti furono interessati da una grande rivoluzione nella profumeria portata a compimento da Jacques Guerlain, che nel 1925 creò il profumo icona di quegli anni, ossia “Shalimar”, in vendita ancora oggi.
Dunque, le donne “moderne” erano anticonformiste sia nell’aspetto, che nella vita quotidiana: non disdegnavano il sesso occasionale, fumavano in pubblico, guidavano le automobili da sole, e spesso indossavano abiti maschili. Insomma, non avevano alcuna intenzione di sottostare alle regole imposte dalla società, secondo cui la donna doveva essere esempio di castità e modestia; e la modernità di Zelda stava proprio nella sregolatezza e nella volontà di competere con gli uomini, in campo sociale quanto in ambito lavorativo. La descrizione dello scrittore Pietro Citati di questa donna, in “La morte della farfalla. Zelda e Francis Scott Fitzgerald”, è alquanto esplicativa:
«Aveva i capelli biondi e luminosi, gli occhi astuti come quelli di un falco, un viso freschissimo. Immaginava di discendere da un’antica razza di streghe. Era egoista, fredda, dotata di una perturbante bellezza, e pensava che il compito delle donne fosse quello di offendere, disturbare, provocare disastri».
Zelda, infatti, non si è mai preoccupata di rovinare, con i suoi atteggiamenti, la reputazione propria e della famiglia, e si allontanò dallo stereotipo di brava ragazza dell’epoca, cioè docile e remissiva. Prendeva lezioni di danza dall’età di 14 anni, e le sue esibizioni, spesso, finivano sulle pagine dei giornali; amava essere al centro dell’attenzione, e si divertiva a provocare scandali: nuotava con indosso dei costumi color carne, in modo da sembrare completamente nuda. Desiderava sentirsi indipendente, e voleva avere a tutti i costi un ruolo nella società. Infatti, si dedicò ben presto sia alla pittura che alla scrittura.
Ella fu anche scrittrice di moda; indimenticabile è il suo “Eulogy on the Flapper”, pubblicato sul Metropolitan Magazine, nel 1922. L’articolo fornisce un’accurata descrizione del nuovo modello femminile, di cui ella si fece portavoce, simbolo di una donna che rivendica il suo posto nella società, e che si serve del potere comunicativo della moda per esprimere la sua ribellione, celandosi dietro un look apparentemente frivolo.
Verrebbe da chiedersi come una donna così fuori dagli schemi potesse far innamorare di sé tantissimi uomini; eppure accadeva. Decine e decine di ragazzi cadevano ai suoi piedi, ma soltanto uno riuscì a portarla all’altare: Francis Scott Fitzgerald, uno dei più grandi scrittori dell’età del jazz, nonché l’autore di uno dei libri che più amo: “Il grande Gatsby”.
I due s’incontrarono, nel 1918, durante un ballo al Country Club. Scott era un militare che sognava di diventare scrittore, Zelda la stella indiscussa della serata, che fece breccia nel cuore del giovane uomo, proprio come Daisy Fay conquista Jay Gatsby nel romanzo.
Zelda e Scott si sposarono, a New York, il 3 aprile del 1920, dopo un singolare corteggiamento durato due anni: si racconta che l’anello e la proposta di fidanzamento arrivarono a Zelda per posta, perché il giovane, in quel periodo, era in congedo militare a New York, mentre Zelda si trovava a Montgomery. Ebbe, così, inizio la grande leggenda dei due enfants terribles dell’età del jazz. Ricordate il vecchio detto “Chi si somiglia si piglia”? Ecco, la giovane coppia ne era la prova vivente: giovani, bellissimi e avidi di successo, erano due menti brillanti che non si piegavano alle regole della società; alcol, debiti e vita sfrenata costellarono la loro vita insieme. Tutti parlavano della coppia; quasi tutti li amavano e li invidiavano.
Francis Scott Fitzgerald, che prima del matrimonio, si era dedicato alla scrittura, ultimando il suo primo romanzo “Di qua dal paradiso”, il quale non manca di riferimenti autobiografici, incarnava alla perfezione i ruggenti anni venti, e Zelda era la sua bellissima moglie e musa ispiratrice. Un anno dopo il matrimonio, Zelda diede alla luce Frances, la loro unica figlia, mentre il marito lavorava al suo secondo romanzo, “Belli e dannati”, nel quale non esitò, ancora una volta, a inserire spunti autobiografici.
Zelda, che non voleva essere semplicemente la moglie dello scrittore più in voga del tempo, iniziò a coltivare il suo interesse per la scrittura, ed a recensire libri; rilasciava interviste e, soprattutto, aiutava il marito nella stesura dei romanzi. Qualche biografo, infatti, pensa che alcuni passaggi nelle opere di Fitzgerald derivino da testi scritti dalla moglie nei suoi diari. Ipotesi tutt’altro che infondata visto che la donna, spesso, lasciava che il marito leggesse il suo diario personale.
Nonostante i suoi sforzi, Zelda, rimaneva l’ombra del marito. Situazione, questa, difficile da accettare per una come lei. Iniziarono i primi tormenti causati dal desiderio di essere la migliore. Ben presto, però, i due si ritrovarono sommersi dai debiti, sia per la vita sregolata che conducevano, sia per l’insuccesso di una commedia di Scott, che provocò nello scrittore una profonda depressione.
I Fitzgerald, convinti di riuscire a ridurre le spese, decisero di trasferirsi a Parigi, una sorta di Mecca degli artisti degli anni venti. Ma è proprio nella capitale francese che la crisi di coppia diventò irreversibile: Zelda, trascurata dal marito, impegnato nella stesura di quello che da lì a poco divenne il suo capolavoro, “Il grande Gatsby”, iniziò una relazione extraconiugale, e trovò sfogo nell’alcol, dando così inizio all’eclissi della sua stella.
La coppia si trovò ad affrontare una profonda rottura, che portò Zelda vicino alla morte per overdose di sonnifero. La faccenda resta ancor oggi avvolta nel mistero: non si sa se sia stato o meno un tentativo di suicidio da parte della donna o un tragico incidente. I due decisero di dimenticare lo spiacevole episodio, e di partire alla volta di Roma e di Capri, mete meravigliose che, però, non riuscirono a sanare la profonda frattura, che stava allontanando sempre di più i due.
Al ritorno a Parigi, nel 1925, Scott incontrò Ernest Hemingway, che purtroppo non stimava affatto Zelda, la quale non esitò a ricambiare il sentimento, accusando addirittura i due uomini di omosessualità. Dunque, l’amicizia tra i due scrittori non fece altro che peggiorare quell’equilibrio di coppia già precario, ma, al contempo, permise ai Fitzgerald di essere inseriti con successo nel mondo di quella che passò alla storia come “la generazione perduta”, che aveva tra i capofila personalità del calibro di Gertrude Stein, John Steinbeck, Ezra Pound e Isadora Duncan.
La vita parigina, purtroppo, non giovò a Zelda, che ormai in preda all’esaurimento nervoso, iniziò ad essere gelosa del lavoro del marito: era ossessionata dalla convinzione che Scott preferisse la scrittura a lei, e per questo tentò più volte il suicidio.
In questo periodo, inoltre, Zelda decise di diventare una ballerina professionista, e all’età di 29 anni riprese le lezioni di danza; si allenava fino allo sfinimento, pur di raggiungere il suo obiettivo: ottenere dei successi che fossero soltanto suoi, e ci riuscì. Le fu offerto un ruolo da ballerina nel corpo di ballo del teatro San Carlo di Napoli, che ella, però, rifiutò. Il motivo di questo rifiuto? Scott! Il marito, infatti, non faceva altro che dissuaderla dalle sue passioni, e criticarla, negandone il talento. La donna, stanca di questo atteggiamento, trasformò il matrimonio in una vera e propria competizione dalla quale nessuno dei due uscì vincitore.
Infatti, i malumori coniugali accentuarono l’instabilità di Scott, che, interessato nuovamente da una forte depressione, sviluppò una forte dipendenza dall’alcol. A Zelda, invece, fu diagnosticata una forte schizofrenia, che diede inizio a una serie di ricoveri presso cliniche psichiatriche. Tra una degenza e l’altra si dedicò alla pittura, perché continuava a essere ossessionata dal desiderio di realizzarsi, e di avere successo.
Nel 1931, dopo la morte del padre, la donna iniziò la stesura di quello che sarà il suo unico romanzo, “Lasciami l’ultimo valzer”, un testo profondamente autobiografico, che fece andare su tutte le furie il marito. Scott, infatti, accusò Zelda di aver rivelato tutti i dettagli della loro vita coniugale, che lo scrittore avrebbe voluto come argomento del suo prossimo romanzo, “Tenera è la notte”; costrinse, dunque, la moglie a rimaneggiare il racconto, tagliando pezzi ed eliminando personaggi. Ciò nonostante, la casa editrice Scribner pubblicò il romanzo nel 1932. Cosa significò per Zelda quel romanzo? “Lasciami l’ultimo valzer” è il simbolo della metamorfosi della donna, che da “allieva” del Fitzgerald ne diventa la principale rivale. Tuttavia, il libro non ebbe il successo sperato, e Scott non esitò a manifestare la sua delusione, additando la moglie come scrittrice di bass’ordine.
Zelda ne uscì completamente distrutta, e perse completamente il controllo dei suoi nervi. A peggiorare ancor più la situazione fu l’accoglienza fredda e distaccata che ricevette alla mostra dei dipinti realizzati qualche anno prima, e il fatto che sua figlia fu cacciata dal college. Si era arrivati al punto che il marito la riteneva responsabile della rovina della loro famiglia.
Il mito dei Fitzgerald era crollato: Scott, ormai, uno scrittore malpagato e misconosciuto, e Zelda una povera pazza rinchiusa in clinica.
I due s’incontrarono per l’ultima volta nel 1939, in occasione dell’ennesimo viaggio riparatore, ma al loro ritorno Zelda fu ricoverata nuovamente in una clinica psichiatrica, mentre Scott cercò invano fortuna a Hollywood.
Nel 1940 Francis Scott Fitzgerald fu stroncato da un arresto cardiaco. Otto anni più tardi, il 10 marzo del 1948, morì anche Zelda in un incendio che colpì l’ Highland Hospital, dove era ricoverata.
Si spensero così le due stelle più invidiate e tormentate degli “anni ruggenti”, gli eternamente “belli e dannati”, la cui scia resterà per sempre tra le righe dei romanzi di Fitzgerald.
Zelda e Scott furono seppelliti insieme nel cimitero di Rockville, nel Maryland, e sulla loro tomba fu incisa la frase conclusiva de “Il Grande Gatzby”:
«Così remiamo, barche controcorrente, risospinti senza sosta nel passato».