Luisa Casati

A cura di Melania Mocerino

Cari lettori, ben ritrovati al nostro appuntamento settimanale con la rubrica BEAUTY (HI)STORY.
Oggi i riflettori si accendono su una delle donne più discusse, amate e odiate del primo Novecento: signore e signori vi presento Luisa Casati, una donna che, certo, non ha fatto la storia, ma che nella storia ci è rimasta per la sua inimitabile vita.

La “Divina Marchesa”, come la soprannominò il Vate, Gabriele D’Annunzio, fu una delle personalità più eccentriche della Belle Époque, e si distinse per intelligenza, determinazione, spregiudicatezza, sete di cultura e tanto altro. “Uccello notturno in stile Art Nouveau”, amava l’oscurità, il mistero, gli eccessi e tutto ciò che fosse poco ordinario. Affascinata dalle biografie di donne che si sono affermate da sole, affrancate dal dominio maschile, prese a modello Sarah Bernhardt, Cristina di Belgioioso, Elisabetta d’Austria e la Contessa di Castiglione. Deliz​i​osamente androgina, con due bellissimi occhi verdi valorizzati da un lieve strabismo, Luisa giocava a tennis, andava a cavallo, portava acconciature corte che saranno un tratto distintivo del suo carattere.
Decine e decine di uomini subirono il suo incredibile fascino: fu musa ispiratrice di pittori del calibro di Giovanni Boldini; ammaliò il poeta Gabriele D’Annunzio diventandone l’amante; attirò alla sua “corte” numerosi poeti, scrittori, musicisti e scultori.

Aveva una grande ambizione: diventare un’opera d’arte, e incredibilmente ci riuscì, ma fu proprio quest’ambizione a portarla alla rovina. Procediamo, però, per gradi. Chi era la marchesa Casati?

Luisa, il cui nome da nubile era Luisa Adele Rosa Maria Amman, nacque il 23 luglio del 1881 a Milano da una ricca famiglia d’industriali cotonieri di origine austriaca, elevati al rango comitale dal re Umberto I.
Fin da bambina si mostrò molto abile nel disegno, e palesò, prematuramente, un forte interesse per la moda, al punto da indossare gli abiti della madre di nascosto. Perse entrambi i genitori durante l’adolescenza, ed ereditando la fortuna del padre diventò, insieme a Francesca, la sorella maggiore che tutti chiamavano Fanny, una delle ragazze più ricche del tempo.
La forte personalità di Luisa non tardò a venir fuori: prima del suo debutto in società tagliò i capelli, e sfoggiò un taglio corto che per l’epoca era a dir poco impensabile su una donna.
All’età di diciannove anni, nel 1900, sposò il marchese Camillo Casati Stampa di Soncino, uomo colto e affascinante interessato, più di ogni altra cosa, al patrimonio della giovane donna. Il matrimonio, per quanto facoltoso, non soddisfò affatto la Marchesa che a malapena riusciva a cucirsi addosso il ruolo della dolce e fedele mogliettina.
I due erano troppo diversi tra loro: lui preso dalla caccia e dagli affari, lei amante della cultura e dell’arte, e troppo impegnata a stupire. A rendere ancor più forte la consapevolezza dell’assenza d’interessi comuni tra i due novelli sposi fu la luna di miele a Parigi. Era l’anno dell’Esposizione Universale, e la capitale francese era in grande fermento: Luisa aveva tutta la bellezza e la varietà del mondo a portata di mano, e ne rimase estasiata. Nemmeno la nascita della sua unica figlia, che chiamò Cristina in onore della principessa di Belgioioso, riuscì ad attenuare il suo desiderio d’indipendenza, che la portò a divorziare da Camillo nel 1924.

La jeune femme au levrierAnnoiata dalla monotona vita da signora milanese, la Marchesa iniziò a manifestare il suo forte desiderio di sbalordire e di far parlare di sé: le sue celebri e scandalose feste in maschera, che sembravano delle vere e proprie rappresentazioni teatrali tanto erano curate nel dettaglio, attiravano i personaggi più in vista del tempo; i suoi travestimenti eccentrici, il gusto esotico, la passione per gli animali (levrieri, ghepardi, pitoni con i quali si aggirava, di notte, per le strade di Milano e Venezia) sono solo alcuni dei suoi aspetti stravaganti. La vita per Luisa era un palcoscenico sul quale esibirsi, e il mondo un pubblico da stregare.
A Venezia acquistò il Palazzo Venier dei Leoni (oggi sede della fondazione e museo Peggy Guggenheim) che ospitò molte delle sue celeberrime feste, e dove visse fino all’anno del suo divorzio.
Si racconta che la donna arrivò nella città lagunare completamente nuda, con indosso solo un mantello di pelliccia, e che solitamente passeggiasse per le strade di Venezia seguita da un corteo di servitori dalla pelle scura, ricoperti di polvere d’oro zecchino. Una volta, addirittura, affittò tutta Piazza San Marco per un evento privato: dalla residenza di Luisa, più di cento gondole attraversarono Canal Grande per condurre gli invitati all’esclusiva “sala da ballo”, quasi come un traghettare anime inquiete in una dimensione surreale.
Fu proprio Venezia a far incontrare Luisa con Giovanni Boldini, che la scelse come musa. Molti sono i ritratti della Marchesa eseguiti dal pittore ferrarese, ma il più celebre è sicuramente “La jeune femme au levrier”, che, esposto per la prima volta a Parigi nel 1909 in occasione del Salons de Paris, riscosse un immediato successo,sia per le doti artistiche del pittore, sia per il magnetismo del soggetto raffigurato. Il ritratto fu definito come l’anti-Gioconda per lo sguardo ambiguo della donna che, anziché risultare rassicurante come quello del soggetto leonardiano, appare tormentato e pregno di angoscia, come tormentata era l’anima della donna.

Altro incontro importante fu quello con il grande poeta Gabriele D’Annunzio, il quale le provocò un enorme turbamento: Luisa aveva in comune col Vate l’amore per la bellezza, per la poesia e per l’arte; inizialmente amici, i due divennero presto amanti.
La Marchesa, moglie e madre annoiata, trovò una via di fuga dalla sua vita ordinaria, e scoprì, grazie al poeta, il piacere della passione.
La relazione tra i due andava al di là del​ cliché​ d’annunziano dell’amante sedotta e abbandonata, perché tra il Vate e la “Divina Marchesa” nacque un rapporto alla pari: si amarono liberamente, senza vincoli e senza promesse impossibili da mantenere. D’Annunzio l’adorava e l’ammirava non solo per la sua particolare bellezza, ma soprattutto per la sua forte personalità e spiccata intelligenza; erano due menti geniali che si nutrivano e s’ispiravano a vicenda. Fu proprio grazie a questa storia d’amore durata dieci anni che Luisa sviluppò quella decadenza che, probabilmente, aleggiava da tempo intorno alla sua figura, ma che aspettava solo di essere incoraggiata.

Un altro evento che segnò la sua vita, portando la Marchesa verso una crisi isterica, fu lo scoppio della prima guerra mondiale, che la sorprese a Parigi. L’imminente evento bellico lascia presagire la fine della Belle Époque, l’epoca di cui ella fu grande icona.
Nonostante questo crollo psicologico, Luisa continuò a vivere da regina incontrastata dei salotti mondani di quasi tutta Europa, viaggiando e circondandosi di brillanti personalità come Pablo Picasso, Tamara de Lempicka e Jean Cocteau.
L’improvvisa morte dell’amata sorella, Fanny, nella primavera del 1919, a causa dell’epidemia di Spagnola, però sconvolse Luisa al punto che la donna iniziò a girovagare ininterrottamente e senza pace per tutta Europa. Nel 1920 scelse come “palcoscenico” per le sue stravaganze una delle isole più alla moda del tempo (e non solo) ossia la bella Capri, allora rifugio d’intellettuali, artisti, esteti, musicisti e di una colonia omosessuale internazionale: un ricettacolo, insomma, di spiriti eccentrici e sofisticati. Ad Anacapri affittò la celeberrima villa San Michele da Axel Munthe, scrittore e psichiatra svedese, e sbalordiva per le sue ​mises​ oltraggiose e per le sue apparizioni in pubblico con un pavone blu e un leopardo al guinzaglio. Ma gli eccessi sembrano non avere fine.
Nel 1923 l’ennesima stravaganza: l’acquisto del Palais Rose alle porte di Parigi, dove fu attratta dagli artisti del momento: Salvador Dalì, Marchel Duchampe il fotografo Man Ray che la rappresenterà in modo leggendario.

Ma poteva questa messa in scena durare per sempre?
Ovviamente, no. Come si può ben immaginare, quella vita fatta di eccessi, lusso e stravaganze prosciugò il patrimonio ereditato dal padre, conducendola alla rovina. Arrivata a cinquant’anni la Marchesa si ritrovò colma di debiti (sembra che la somma ammontasse a circa 25 milioni di dollari) e per questo, dopo aver venduto le sue residenze, decise di abbandonare l’Italia definitivamente per trasferirsi in Inghilterra, dove l’accolsero alcuni amici. A Londra le grandi feste e la vita lussuosa di un tempo erano solo un lontano ricordo, ma, nonostante la povertà che ormai la caratterizzava, ella non rinunciò alla sua eccentricità. Si racconta che per guadagnarsi da vivere accettò di apparire nelle vesti di un fantasma (travestimento che le risultò semplice vista il suo aspetto smunto) sulle torri dei castelli Inglesi.
Nel 1957, durante una seduta spiritica, fu colpita da un’emorragia cerebrale, che decretò la fine della sua teatrale vita. Ma un personaggio tanto stravagante poteva uscire di scena in punta di piedi, come la più anonima delle donne? No, non lei! Infatti, secondo sue precise disposizioni, fu seppellita con indosso un mantello bordato di leopardo, gli occhi bistrati di nero e ai piedi il suo pechinese imbalsamato. Sulla tomba ​la nipote Moorea sceglie di fare apporre un epitaffio tratto dalla tragedia shakespiriana “Antonio e Cleopatra”, che riassume il carattere unico e straordinario di Luisa Amman Casati: “​L’età non può appassirla, né l’abitudine rendere stantia la sua varietà infinita”.

Ora, però, basta con la storia! Sbaglio o questa rubrica s’intitola “BEAUTY(HI)STORY”?

Ebbene, è giunto il momento di parlare di ​beauty. La Marchesa non era dotata di una bellezza canonica, ma affascinava per il suo magnetismo e per i suoi look sbalorditivi. Magra e alta, maniaca dell’estetismo, Luisa curava molto il suo aspetto, e pur di non perdere la sua fisicità androgina impose al marito un’unica figlia, temendo che troppe gravidanze rovinassero il suo fisico filiforme. Come ho più volte ricordato, la Marchesa era maestra d’immagini​ shock. Tingeva sempre i capelli di rosso fuoco; era attentissima a non abbronzarsi, infatti la sua pelle era sempre bianchissima al punto che sembrava imbiancata a calce. Sappiamo bene che uno dei tratti distintivi della donna dell’epoca era appunto la pelle chiara, ma come facevano le signore dell’alta società a mantenerla così bianca?
La polvere di riso era il cosmetico più utilizzato insieme a delle creme sbiancanti a base di candeggianti, arsenico e piombo. Insomma, una routine tutt’altro che naturale!
Gli occhi erano il punto focale del look della Marchesa: strati e strati di ​kajal sia sulla rima superiore che su quella inferiore le conferivano un aspetto spettrale, che non lasciava indifferenti. Luisa, però, non si limitava al trucco per esaltarli, infatti aveva la strana abitudine tutta rinascimentale di renderli lucenti e magnetici con qualche goccia di belladonna. Durante la Belle Époque a truccarsi erano le donne di teatro o le Suffragette (di cui trovate un articolo qui sul blog), donne di sicuro non comuni, ma lei, la Marchesa, aveva ben poco di comune: donna ricca e spregiudicata, amava essere all’avanguardia.
Femme fatale​ per eccellenza, Luisa fu un’icona di stile
, sia in fatto di​ make up, che di moda: il suo look sontuoso e ​noir​ ispirò, e ispira tutt’ora, stilisti del calibro di John Galliano e Karl Lagerfeld. Addirittura personaggi dello spettacolo furono affascinati dalla Marchesa: lo avreste mai detto che Freddie Burretti si fosse ispirato alla nostra Luisa per la creazione di alcuni look della​ star delle star, ossia David Bowie? Ebbene, si! Le è stata dedicata una mostra, a Venezia, tra il 2014 e il 2015, che è riuscita a far rivivere lo spirito tormentato di una donna indimenticabile.

A chi volesse approfondire la conoscenza di questo personaggio, a volte ingiustamente dimenticato, consiglio due letture: la graphic novel “La Casati. La musa egoista” di Vanna Vinci, e “Memorie di un’opera d’arte” di Luca Scarlini.
Spero di aver stuzzicato la vostra curiosità: la storia è ricca di personaggi ingiustamente dimenticati, ma che hanno lasciato traccia della loro personalità tormentata e strabiliante. Sta a noi tenere vivo il loro ricordo, e questa rubrica è il luogo giusto per farlo.

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