A cura di Yasmin Hadjeres
Oggi rimaniamo per una volta nel nostro bel paese, ma ci trasferiamo nella Venezia del 1500, all’apice del suo splendore, per parlare di una donna davvero interessante, rappresentante di spicco della sua categoria: sto parlando di Veronica Franco, la cortigiana onesta.
UN PO’ DI STORIA.
Nasce a Venezia nel 1546, figlia di Francesco e Paola Fracassa, della classe dei cittadini originari di Venezia.
Fin dalla giovane età fu preparata dalla stessa madre, ex cortigiana onesta, a diventarlo.
A Venezia si distinguevano due tipi di cortigiane: la cortigiana di lume, prostitute più di basso rango che praticavano presso i ponti in particolare il ponte di Rialto, e la cortigiana onesta, donne intellettuali che godevano di influenza, protezione e con una posizione particolare nella società: beneficiavano di molte libertà, specialmente quella di parola, per una posizione molto rispettata.
Iniziata quindi dalla madre, una volta avviata alle arti della seduzione riuscì però ad ottenere già giovanissima una proposta di matrimonio da un medico molto facoltoso. A 18 anni diede alla luce il primo figlio, ma il matrimonio finì dopo poco.
Per mantenersi si dedicò quindi completamente alla professione, e due anni dopo, a 20 anni, era già inserita nel “Catalogo di tutte le principal et più honorate cortigiane di Venezia”, elenco che forniva nome, indirizzi e tariffe delle cortigiane.
Per darvi un’idea, un bacio valeva 5 scudi, mentre un servizio completo 50 (una fortuna per l’epoca). Ma la cortigiana non doveva solo intrattenere fisicamente: doveva dover essere in grado di sostenere brillanti conversazioni, dilettarsi di musica, di arti figurative, di politica ed eventualmente di armi.
Veronica era infatti diventata oltre che una cortigiana, una rinomata poetessa, e grazie al suo intelletto e alla sua bellezza ed eleganza, aveva ormai la protezione dei più influenti nobili e signori della città, come Andrea Tron, e passava il suo tempo nei circoli più prestigiosi, come il Ca’ Venier, famiglia di antichi patrizi veneziani.
Di lei, tra i tanti, si innamorò Marco Venier (e qua dico: prendete i pop corn) che scriveva: “Se io v’amo al par de la mia propria vita, / donna crudel, e voi perché non date / in tanto amor al mio tormento aita?”
Il loro rapporto fu tormentato, pieno di passione, di incertezza da parte di entrambi, dati dallo status e dal matrimonio di Marco, ma anche dalla professione di Veronica, che comunque Marco avrebbe dovuto condividere con altri uomini per forza di cose.
Veronica gli rispondeva, ad esempio: “S’esser del vostro amor potessi certa / per quel che mostran le parole e ’l volto / che spesso tengon varia alma coperta… E se invero m’amate, assai mi duole / che con effetti non vi discopriate, / come chi veramente ama, far suole”.
Insomma Veronica voleva meno parole e più fatti, che detto da una cortigiana poetessa è alquanto ironico, ma si sa che noi donne siamo complesse fin dalla notte dei tempi.
Ma torniamo a noi. Nel 1574, durante una visita a Venezia del Re di Francia Enrico III di Valois, Veronica fu scelta tra tutti per intrattenere il Re, al quale regalò una miniatura del suo ritratto e due sonetti. Non è difficile immaginare che il Re fu colpito oltre che dall’aspetto fisico anche dall’arguzia come molti, e tra una capriola notturna e l’altra, abbiano anche parlato molto di politica e altre cose.
L’episodio coronò Veronica come una persona di grande successo, e venne elevata agli occhi di tutta Venezia, perché aveva fatto e ricevuto un grande onore.
Nel 1575 scrisse un volume di poesia “Terze Rime” e nel 1580 il secondo “Lettere familiari a diversi”.
Amministrava molto bene e molto intelligentemente, nonché da sola, i suoi beni che si accrescevano, in quanto riceveva sempre doni (i Rak del 500) dai suoi ammiratori, finché la peste non colpì Venezia. Veronica fu costretta a lasciare la sua casa che venne saccheggiata durante 5 anni, nei quali perse molte delle sue ricchezze. Tentò di aprire nel 1577 una casa per donne indigenti, cosa molto femminista e progressista per l’epoca, che lei voleva amministrare ma non ci fu nulla da fare.
Nel 1580, le disgrazie continuarono: fu condannata per stregoneria e dovette sostenere un processo contro la Santa Inquisizione, che incredibilmente vinse, e si pensa che venne assolta grazie ai suoi numerosi sostegni, ormai diventati normali, che ancora aveva tra la politica e la nobiltà Veneziana.
La peste e il tempo trascorso però, le avevano fatto perdere molto appunto, sia come ricchezza sia come sostegno quando questi ultimi sono tutti per una cortigiana. Molti erano morti, altri erano caduti in disgrazia, e in generale ci si avviava a tempi più sobri per Venezia per un po’, con l’influenza della Chiesa cattolica.
Veronica trascorse quindi i suoi ultimi anni in maniera modesta, anche se non cadde mai in povertà veramente, ma comunque da donna libera, cosa che lei aveva sempre rivendicato con fierezza. Morì nel 1591.
PASSIAMO AL BELLETTO
Come potete immaginare, per una cortigiana essere bella era la prima cosa. Seguivano tutte religiosamente i consigli di una nota alchimista, Isabella Cortese, che nel 1500 pubblicò “Secreta” un libro dedicato alla cosmetica femminile.
I capelli venivano spesso e volentieri tinti di biondo, il famoso biondo Tiziano, dato dall’ammoniaca, limone, fiori di lupino, salnitro e zafferano, che andavano a comporre intrugli da lasciare in posa. Venivano poi acconciati sulla testa con trecce e nastri dorati, eventualmente perle. Una cortigiana onesta doveva sempre avere i capelli raccolti, come le dame. Solo le cortigiane di lume potevano uscire con i capelli sciolti! Era usanza depilare la sopracciglia e rasare la parte alta della testa, all’attaccatura, perché una fronte ampia era sinonimo di grande bellezza.
La pelle doveva essere come per le mani, morbida e bianca, per distinguersi da quella dei malati e dei poveri, nonché delle cortigiane di lume, che erano grezze. Di notte si facevano lunghe pose di bistecche di vitella bagnate nel latte, o maschere con albume e farina per contrastare le imperfezioni ed avere un colorito perfetto. Di giorno si usava un fondotinta a base di biacca di piombo (pigmento usato dai pittori), e si coloravano guance e labbra di rosso o rosa.
Facevano impacchi per le mani con acqua di rose, polpa di mele e infuso di chiodi di garofano, da lasciare in posa un’ora. Molto diffuso anche ovviamente l’uso degli olii profumati e Delle acque di fiori per il corpo, tutto doveva essere sempre morbido, profumato e invitante.
L’abbigliamento, era pari a quello delle nobildonne ma più sfarzoso: seta, oro, ventagli di piume di struzzo e zeppe di 50 cm (!!) erano all’ordine del giorno nella vita di una cortigiana .
Questo è quanto, spero che vi abbia interessato questa parentesi veneziana, se vi è piaciuta vi consiglio il libro “The Honest Courtesan” di Margereth Rosenthal e film “Dangerous Beauty” del 1998, sulla vita di Veronica Franco. Ma anche il periodo storico è molto ricco per la Repubblica di Venezia, volendo allargare il discorso.
A presto!