A cura di Vanessa Guazzi
oggi vi presento una delle più famose donne dell’antichità, Teodora.
Teodora fu una delle donne più influenti e potenti dell’impero bizantino e Imperatrice dell’Impero romano d’Oriente.
Siamo a Bisanzio, tra il 5° e il 6° secolo D.c , in un periodo storico in cui gli storici concentravano la loro attenzione sulle gesta di condottieri ed eserciti. E’ in questo panorama che emerge figura di una donna spregiudicata, determinata e bellissima: Teodora.
Contrariamente a quanto avveniva in Occidente, nell’Impero Bizantino le donne contavano moltissimo: potevano ricevere un’istruzione superiore e se, appartenevano all’aristocrazia imperiale, potevano esercitare una considerevole influenza sulla vita politica, regnando come “uomini di Stato”.
Sarà questo il destino della futura imperatrice, che nasce nei bassifondi, ma che, grazie al suo carattere forte, alla sua arguzia e alla sua sensibilità, diviene una delle reggenti più importanti dell’antichità.
Il potere e l’ammirazione attirano però invidie e malcontento, per questo Teodora è anche uno dei bersagli più comuni per le maldicenze dei suoi contemporanei, che la dipingono spesso con tinte fosche e immorali e diffondono su di lei i racconti più infamanti.
La conosciamo attraverso le parole dello storico Procopio di Cesarea, che visse a lungo alla corte di Giustiniano, marito di Teodora. Procopio documentò, in diversi periodi della sua vita, le vicende imperiali e ci lascia dell’Imperatrice un ritratto a volte generoso e dai toni riverenti, a volte critico e spietato, ricco di accuse per la sua lascivia e immoralità.
Si crede, tuttavia, che queste ultime descrizioni siano così critiche proprio in seguito a forti contrasti tra lo storico e l’imperatore, avuti per motivi rimasti misteriosi, e che siano, quindi, prive di oggettività.
Di umili origini, proveniente da una famiglia numerosa e poverissima, Teodora vive fin dall’infanzia a stretto contatto col mondo del teatro, grazie alla madre e alle sorelle, tutte attrici. Una professione, quella dell’attore, oggi di tutto rispetto, ma non allora, quando “attrice” sottintendeva anche “prostituta”. La prima immagine di Teodora che ci viene descritta è quella di una bambina che entra nell’arena di Bisanzio assieme alle due sorelle. Rivolta al pubblico, supplica e piange per il padre, licenziato dal ruolo di guardiano delle belve dell’anfiteatro: è la sua prima volta nell’arena. Dopo l’episodio delle suppliche (andato a buon fine, visto che il padre è poi assunto come guardiano dalla fazione rivale di quella che lo aveva licenziato), Teodora diventa una presenza fissa nell’arena di Bisanzio
Prima, accompagnando la sorella maggiore Comito nelle sue esibizioni, poi, raggiungendo la ribalta da sola, come acrobata.
Appena 16enne, inizia anche la sua vita da meretrice, favorita dalla sua grande bellezza, che la rende molto popolare tra i suoi amanti, ma, allo stesso tempo, le procura una nomea infame. Pare, addirittura, che chi la incontrasse per strada si allontanasse per evitare ogni contatto indesiderato delle sue vesti e che incrociarla all’alba fosse considerato un vero e proprio cattivo presagio.
Fra gli avventori dei locali goderecci frequentati da Teodora, c’è un uomo piacente, Giustiniano, il nipote dell’Imperatore Giustino. Teodora non è solo bella e affascinante, ma anche intelligente, spontanea e ingegnosa: Giustiniano ne è colpito profondamente. La futura imperatrice aveva solo 18 anni, allora, ma molta ambizione e, alla prima occasione di un buon partito, era decisa ad abbandonare la vita balorda che conduceva.
L’occasione arriva con Ecebolo, uomo maturo e non particolarmente attraente, ma molto ricco, che sarebbe anche divenuto governatore dell’Impero. Ecebolo, stregato dalla sensualità di Teodora e nel tentativo di preservarla tutta per se’, la conduce in Cirenaica, dove vive in un grande palazzo, circondata dal lusso e soddisfacendo ogni suo capriccio, dagli abiti alle sfarzose feste.
Ma non dura a lungo. Di fronte alle spese pazze di Teodora, in contrasto così stridente con la carestia locale, qualcuno informa l’Imperatore, che non si è reso conto che il governatorato è quasi in bancarotta e invia pochissimi denari dalle tasse. La soluzione è repentina: ad Ecebolo è imposto di allontanare Teodora. La decisione, per lui, è poco sofferta: da qualche tempo lei diserta il talamo, preferendo dare confidenza a giovani molto più prestanti di lui. Così, cacciata su due piedi, Teodora se ne va di casa, non prima, però, di aver gridato ad Ecebolo tutto il suo disprezzo (“Vile!”, ripetuto per tre volte, sulla soglia del suo palazzo).
Teodora si ritrova così nella miseria più completa e inizia a spostarsi in tutte le città dell’Africa nord-orientale, da Cirene fino ad Alessandria, vivendo del commercio di se’stessa. Invecchiata e sciupata, riesce a tornare a Bisanzio quando ha circa venti anni. A questo ritorno la spinge Ia predizione di una strega, che viene confermata anche da un sogno fatto: a Bisanzio sposerà il “principe dei demoni” e otterrà “tutte le ricchezze del mondo”.
Nel frattempo, Giustiniano è divenuto il personaggio più potente dell’Impero, secondo solo allo zio, l’Imperatore Giustino. Quest’ultimo, uomo d’esperienza e ormai 70enne, vede nel nipote il suo erede naturale: ha scelto di tenerlo vicino, educarlo e formarlo per succedergli al trono e Giustiniano non lo ha deluso. Complice un’intelligenza sveglia ed una mente attiva, da rozzo analfabeta, è diventato un uomo di cultura, ha sviluppato un’oratoria ed un carisma eccezionali ed è divenuto una figura politica di spicco. Quando Teodora e Giustiniano si incontrano di nuovo, lui ha 40 anni e non l’ha mai dimenticata: è amore vero, per entrambi. Anche se, sussurranno i più maliziosi, lei non è priva di un sostanzioso tornaconto personale. La scalata al seggio imperiale di Giustiniano è rapida, segnata.
Nel mentre (523 d.c.), i due amanti si sposano, sfidando le ire delle donne della famiglia di lui, contrarie all’unione con una cortigiana. Giustiniano le metterà a tacere, convincendo lo zio a modificare perfino la legge nuziale che mette limiti alle unioni tra nobili con attrici e teatranti. Nel 527 Giustino muore, nominando Imperatori (“Augusti”) Teodora e Giustiniano. I due sono accolti da acclamazioni unanimi e portati in trionfo fino al palazzo imperiale.
Teodora la funambula, Teodora la cortigiana, Teodora la prostituta, è ora reggente dell’Impero Romano d’Oriente. Costante nella sua forza, scaltra, seducente, ha raggiunto un traguardo che forse nemmeno lei stessa immaginava.
Per conservare il trono su cui sale, ricorrerà all’inganno, alla violenza e alla crudeltà. Implacabile nei suoi amori, come nei suoi odi, favorirà i propri protetti e stroncherà i nemici senza scrupoli. Dispotica, dura, amante del denaro e del potere, come molti degli antichi monarchi assoluti, Teodora ha però le virtù necessarie a chi siede sopra un trono e ne farà buon uso, grazie alla sua indole e alle circostanze, che la portano a partecipare attivamente agli affari e agli intrighi politici dell’impero.
Giustiniano, infatti, secondo alcuni storici, fu un reggente debole e, se per alcuni aspetti il suo fu un grande regno, per altri, non ebbe che l’esteriorità della grandezza. La sua influenza sul marito e la sua risolutezza nelle situazioni più spinose, furono quindi provvidenziali in molti casi, come nel 532, durante la “rivolta di Nika”. Davanti ad una folla in tumulto che gridava alle porte del palazzo imperiale, fomentata da parenti del defunto Giustino, che erano stati estromessi dal potere, Giustiniano fu sul punto di fuggire. Teodora si rivolse a lui e ai suoi ufficiali terrorizzati con appello appassionato: “Non è terribile che un imperatore diventi un fuggiasco. Se vuoi metterti in salvo con la fuga, imperatore, naturalmente puoi farlo. Tuttavia, per quanto mi riguarda, io terrò fede al vecchio detto secondo cui la porpora è il miglior sudario.” Impressionati da queste parole, Giustiniano ed il suo seguito passarono all’azione e si mossero contro la folla inferocita: la repressione fu immediatamente sedata nel sangue.
Pare che l’Imperatore, parlando al suo governo, iniziasse sempre esordendo con la frase: “Io, Giustiniano, con la onoratissima moglie che Dio mi ha dato…”, e ancora, nel promulgare una legge o nell’esporla, premettesse: “Il suo dolcissimo incantesimo (di Teodora) mi ha suggerito….”
Teodora fu molto attiva nelle questioni politiche femminili e intervenne di persona per inserire nelle riforme dei “Codici Giustiniani” misure sul divorzio, l’adulterio, la santità del vincolo matrimoniale e perfino riguardo all’assistenza di attrici e cortigiane.
Durante il suo regno, ebbe modo di occuparsi anche di quell’Ecebolo che l’aveva cacciata dalla Cirenaica. Fece indagare sul suo comportamento e alla prima relazione compromettente che ricevette, Teodora non si sporcò nemmeno le mani: lo mise in mano ai suoi funzionari che, trovatolo in fallo, ben presto lo condannarono a morte.
Il matrimonio di Teodora e Giustiniano rimase sterile. Si diceva che Teodora avesse abbandonato l’unico figlio maschio, avuto con un altro uomo prima delle nozze, lasciandolo al padre.
La leggenda narra che molti anni dopo il giovane si presentò a corte e reclamò il riconoscimento della madre, ma Teodora si rifiutò. Dopodiché, lo fece eliminare in segreto; temeva per la sua reputazione. Il destino punì questa crudeltà privandola della gioia di avere altri figli. Teodora si affidò alle pratiche magiche, alle preghiere, ma nulla servì.
Teodora morì (forse per un tumore allo stomaco) a Costantinopoli nel 548, 18 anni prima di del marito, anziano di più di 18 anni.
Il suo impegno nell’erezione di monasteri e chiese e per la convocazione del V° Concilio Ecumenico, furono le principali ragioni per farle guadagnare, molto più tardi, la santità.
Oggi, viene ricordata il 14 novembre, giorno della morte di Giustiniano.
BELLEZZA E RITUALI NELL’ANTICHITÀ
Non conosciamo i rituali di bellezza usati direttamente da Teodora, ma ci sono stati tramandati nei secoli, molte delle pratiche utilizzate dalle donne romane.
Pare che Teodora non fosse molto alta, avesse pelle d’alabastro e grandi occhi vivaci. Nei documenti ritrovati nulla viene detto del suo corpo, ma si può supporre che fosse di grande bellezza, in quanto nell’anfiteatro dove si esibiva era vestita unicamente di una sciarpa di seta annodata intorno alle reni.
Dopo la conquista della Grecia (146 a.C.), i Romani avevano assorbito le usanze dei greci ed i loro canoni estetici. A differenza dei secoli precedenti, in cui regnava la trascuratezza, la matrona dell’Impero faceva, infatti, uso di cosmetici, belletti e profumi. Lo stereotipo della bellezza femminile nell’antica Roma era incentrato su una figura dell’incarnato chiaro e dalle forme opulente.
A descrivere i rituali di bellezza delle donne romane, con tanto di vere e proprie ricette per preparare in casa i cosmetici, sono gli scritti del poeta Ovidio, che nel libellum dei Medicamina faciei femineae, fornisce alle donne della nobiltà romana precetti sull’uso di cosmetici.
Scopriamo così che la toeletta patrizia era paragonabile a un vero e proprio tour de force: lunghi bagni (per detergere, non essendoci ancora il sapone, si utilizzavano la creta finissima o farina di fave), esfoliazioni della pelle, depilazione. Plinio il Vecchio ammoniva già “che d’ispidi peli pungenti” non fossero mai coperte le gambe femminili e per togliere l’antiestetica peluria si adoperavano “psilothru” e “dropax”, composti di pece greca, resina, cere e sostanze caustiche, disciolti nell’olio. Esistevano anche le pinzette (“volsellae”), per lo più di metallo (anche d’oro e d’argento), di misure e fogge diverse.
Prima del trucco, a detta dei “visagisti” dell’epoca, bisognava ricorrere a delle efficaci maschere di bellezza e credenza diffusa era che le migliori fossero quelle ottenute con composti organici. Non si sprecava nulla: corna dei cervi, escrementi del pennuto alcione, placenta, sterco e urina di vitello, ingredienti stregoneschi che andavano sapientemente mescolati ad olio, grasso d’oca, succo di basilico, semi di origano, biancospino, zolfo, miele ed aceto. Le alternative più profumate erano a base vegetale: composti di miele, incenso, acanto, legno di cipresso e leccio, melone, alga rossa.
Una volta purificata la pelle, si poteva poi procedere al maquillage. Il volto veniva schiarito con la nivea cerussa (una pericolosa pomata derivata dalla biacca), gli occhi ombreggiati dall’antimonio e le guance e le labbra tinte con l’alcanna, con il succo delle more di gelso oppure con la sandracca (pericoloso solfuro di arsenico). Si creavano straordinari effetti iridescenti stendendo sul viso dei brillantini ottenuti dalla triturazione di cristalli e dalla malachite e dall’azzurrite si ricavavano ombretti sgargianti, verdi e indaco. Tutto il necessario cosmetico era preparato fresco da schiave specializzate.
Infine, i capelli venivano infoltiti con dei posticci e acconciati in modo elaborato, con riccioli sovrapposti. Fin dai tempi della prima Repubblica le donne romane si tingevano per rendere più attraente il loro aspetto, servendosi di solito della cenere del focolare, che conferiva una chioma dai riflessi rossi. Molto diffuso in età imperiale era anche l’henné che veniva dall’Egitto. Divenne di gran moda il biondo, ottenuto con curcuma e polveri dorate. Le tinture provenivano dalle più lontane regioni dell’Impero, specialmente dal Nord Europa, e le tonalità di colore arrivavano sino all’azzurro, molto appariscente, ma gradito dalle donne più spregiudicate.
Neppure ad un sorriso smagliante era lecito rinunciare, e per la pulizia dei denti si usava un dentifricium a base di soda e bicarbonato di sodio.
Fonti:
storiologia.it
wikipedia
giustiniani.info
varie biografie su Teodora