FRINE

A cura di Julia Kritsikokas

Parlare della vita, le gesta, le usanze, i costumi, di una figura storica, nel nostro caso femminile, emblematica di una determinata epoca, fa sorgere la trattazione di tematiche sociali anche delicate. Tratterò, in questo articolo sulla bellezza, una figura femminile particolare che richiama la delicata e controversa tematica della prostituzione. La donna di oggi fu infatti una delle più famose “heterae” (etere) dell’antica Grecia: la bellissima Frine.

È doveroso dire qualcosa sul ruolo della prostituzione all’interno della società dell’antica Grecia. La prostituzione ai tempi era considerata parte integrante della vita quotidiana ed economica delle polis e aveva altresì particolari funzioni sociali tra cui soprattutto forgiare dai giovinetti degli uomini (dato che l’età media in cui si contraeva matrimonio erano i 30anni). Era una pratica legalizzata e regolata da norme dei governi locali e interessava non soltanto le donne ma anche gli uomini: giovani donne e giovani uomini dunque entravano nel mondo della prostituzione soddisfando la clientela dell’altro sesso o dello stesso. Va sottolineato al contempo che non erano tollerati adulterio e violenza sessuale, i quali venivano puniti molto severamente. La prostituzione aveva una “gerarchia” piramidale: al gradino più basso le pornai, dopo di loro le prostitute indipendenti ed infine al vertice le etere. Le pornai erano per lo più schiave straniere costrette a professare per sopravvivere e la cui prostituzione era affidata a uomini protettori che ricevevano parte dei loro guadagni. Erano spesso relegate nei bordelli dei quartieri a luci rosse, di cui il più famoso fu il Pireo. Le prostitute indipendenti non avevano alcun protettore e usano la pubblicità e l’uso di un’eccessivo trucco per procurarsi la clientela.  Ad Atene esse venivano registrate e pagavano una tassa. Infine le etere non erano delle semplici donne di compagnia dedite a servizi sessuali, bensì erano figure sofisticate, colte e controverse. Potevano istaurare relazioni amorose durature coi loro clienti ed erano le sole donne che potevano essere definite ” indipendenti” e ” libere”. Erano quasi tutte ex schiave straniere abili nell’arte, nella danza, nella musica e molto colte e intelligenti. Contrariamente a quanto accadeva per le donne delle polis greche, esse ricevevano (o si procuravano) un’educazione completa e gestivano autonomamente la propria vita economica arrivando a guadagnare anche somme notevoli. Grazie alla loro autonomia economica creavano anche vere e proprie aziende di accompagnatrici tanto da poter essere considerate alla stregua delle moderne imprenditrici. Vivevano liberamente la loro vita, tanto da poter avere una vita pubblica (riservata nelle polis solo agli uomini) e da poter partecipare al Simposio maschile esprimendo le loro opinioni ed idee, che venivano sempre rispettate e accolte.

 

 

Passiamo ora a Frine.
Il suo vero nome era Mnesarete che in greco significa “colei che fa ricordare la virtù”, ma fu meglio conosciuta col suo soprannome Frine che significa “rospetto” (era solito che le etere avessero un soprannome totalmente opposto al nome per mantenere segreta la reale identità e per contrastare volutamente con la tradizione). L’origine di tale soprannome è un po’ controversa in quanto c’è chi sostiene che le fu attribuito a causa del suo incarnato olivastro, chi sostiene che faceva riferimento alla morbidezza della sua pelle e chi sostiene si riferisse al suo carattere vispo, perspicace e vivace.

Era originaria di Tespie (in Beozia) e forse fu di famiglia aristocratica. Si trasferì ad Atene nel 371 a.c., anno in cui Tebe distrusse Tespie. Secondo un frammento del commediografo Timocle si ritrovò da molto giovane in povertà e iniziò a sostentarsi con la vendita di capperi e l’aiuto economico dei suoi amanti. Viene descritta dai suoi contemporanei come una bellezza straordinaria e quasi divina, resa speciale dalla sua naturalezza: non faceva uso del trucco ed era solita vestire con abiti aderenti e non andare nei bagni pubblici per creare così curiosità e desiderio riguardo il proprio corpo. Gli uomini greci del tempo consideravano l’avere un etera al proprio fianco uno status symbol e pertanto numerosi uomini potenti come artisti, oratori, poeti, si disperavano per averla. Si narra che il celebre pittore Apelle vedendola un giorno uscire nuda dall’acqua la volle come sua musa per L’ Afrodite Anadiomene (ovvero “che sorge dalle acque”).

Ebbe molti amanti illustri tra cui il famoso scultore Prassitele che la usó come modella per la famosa Afrodite cnidia dandole così grande notorietà essendo la statua di Afrodite nuda. A Prassitele Frine stessa commissionó la realizzazione di due statue: una raffigurante Eros che fu collocata nel santuario del dio a Tespie e una in oro (o forse bronzo dorato) raffigurante Frine in piedi che fu posta nel santuario di Delfi. Su quest’ultima statua vi sono dubbi che fosse stata realizzata da Prassitele (che ai tempi si era ridotto in rovina) ma si sa per certo che Frine la fece realizzare allo scopo di provocare fortemente coloro che erano troppo conservatori: era inusuale infatti erigere statue di etere e tantomeno esporle nei luoghi sacri. Tale provocazione aveva anche, se non soprattutto, una natura politica. Si sosteneva che Frine fosse antimacedone e che l’aver collocato la sua statua tra la statua del re di Sparta Archidamo III e la statua del re macedone Filippo II non fosse stato un puro caso. Il suo antimacedonismo viene confermato anche da un aneddoto : si narra che Frine promise di finanziare la ricostruzione delle mura di Tebe (distrutte da Alessandro Magno) purché fosse stata apposta nelle mura tale scritta “Alessandro le distrusse, le rifece l’etera Frine”.

 

Si denota da questi aneddoti il forte carattere di Frine e il suo animo caparbio poco incline alle ipocrisie e alle crudeltà. Ciò le procuró non pochi nemici. Tanto amata e tanto odiata. Fu infatti protagonista di un processo per empietà. Intorno alla metà del IV sec a.c. in una data ancora imprecisata dagli storici, Frine venne accusata dall’ateniese Eutia del culto di una nuova dea non riconosciuta Isodaite e di essersi immersa nelle acque sacre di Eleusi. Tali accuse erano punibili con la morte e celavano un dilagante malcontento degli ateniesi più tradizionalisti. Venne difesa dal famoso oratore nonché suo amante Iperide. Durante il processo Frine si comportò in modo impeccabile arrivando pure a supplicare in lacrime i giudici. L’orazione di Iperide non aveva colpito i giudici infatti, ma egli trovó ugualmente il modo di attirare la loro benevolenza: strappó gli abiti di dosso a Frine dinanzi l’assemblea lasciandola nuda e domandando ” Può una simile bellezza offendere gli dei?”. Secondo alcuni fu Frine stessa a strapparsi gli abiti ma tralasciando il dettaglio i giudici rimasero abbagliati dalla sua bellezza e la assolsero.

Per molti si tratta solo di un racconto fantasioso, per certo però si sa che Frine fu assolta e che dopo il processo si persero le sue tracce. L’aneddoto del suo disvelamento divenne esempio nelle scuole retoriche di appello alla pietà fondato sulla vista ed il processo assunse un’importanza politica. La storia di Frine e la sua bellezza divennero leggenda. Troviamo varie trasposizioni e rielaborazioni della storia di Frine: il pittore francese Jean-Lèon Gèrome del 1861 ritrasse il suo processo, lo scrittore Conan Doyle in un racconto di Sherlock Holmes ” Uno scandalo in Boemia” rielaboró la sua storia, lo scrittore italiano Edoardo Scarfoglio nel 1916 scrisse un libro dal titolo ” Il processo di Frine” che prende spunto dalla sua storia e da cui venne tratto il film di De Sica e Gina Lollobrigida dal titolo “Il processo di Frine”.

Andiamo adesso all’aspetto che più ci riguarda: la cura della persona e della bellezza nell’antica Grecia.

 

 

Gli Elleni furono i primi insieme agli Egizi a dare vita ad un vero e proprio culto della cura della persona. A partire dalla cura per l’ambiente essendo stato il primo popolo ad aver organizzato un servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani, fino alla diffusione di pratiche terapeutiche e igieniche per il benessere del corpo come bagni, massaggi agli oli, ginnastica, alimentazione equilibrata, attenzione nei confronti del sonno, importanza della salubrità dell’aria e controllo dell’emotività: tutti elementi che rendono la Grecia antica la patria perfetta (o quasi) della nostrana filosofia eco-biologica.

 

IGIENE E CURA DEL CORPO.

Gli antichi Greci non conoscevano il sapone ma appresero dagli Egizi l’uso di una miscela di cenere e argilla che a contatto con l’acqua produceva una schiuma simile a quella prodotta dai nostri moderni saponi. Massaggiavano il corpo prettamente con olio d’oliva ma anche di rose, nardo, iris, maggiorana, mandorle amare e il famoso olio ateniese “crocinum” a base di rosa, mirra e cannella (possiamo quindi definirlo un oleolito!)L’uso di oli profumati per l’igiene personale come sapone, emolliente, lozione e profumo sia per il corpo che per i capelli, era fondamentale. L’olio veniva conservato in un particolare contenitore di terracotta l’alabastrom simile ad un’anfora e il suo consumo era talmente elevato che in media ammontava a 50litri per cittadino all’anno! Altri metodi per eliminare le impurità erano: il bicarbonato di sodio, impacchi di quark e miscugli di sabbia e orzo che venivano levati con lo strigile, una particolare paletta ricurva (insomma il nostro odierno scrub.)Il profumo aveva un ruolo importante tanto che si pensava venisse prodotto dagli dei stessi. Aveva importanza nelle cerimonie e negli avvenimenti più importanti (nascita, matrimonio e morte). Un esempio di profumo nazionale esportato nel bacino mediterraneo era il Kipros a base di menta e bergamotto, anche se il profumo più amato era quello di rosa ( buon sangue non mente!). Le donne dopo il bagno utilizzavano creme per il viso a base di biacca, focus e porpurissum per dare colore all’incarnato( mi permetto di paragonarle più o meno alle odierne bb cream.) Erano solite praticare un peeling esfoliante cospargendosi il corpo di olio d’oliva per poi strofinarsi energicamente con la pietra pomice e la soda naturale (carbonato di calcio). Come le donne egizie erano solite depilarsi il corpo e per questioni igieniche praticavano la completa depilazione del pube.

Fondamentale era anche l’igiene orale che prevedeva l’uso di un impasto di sale, miele e rosmarino. Per curare la carie poi si usava fare risciacqui con oppio,pepe e erbe medicamentose essiccate. Da diverse fonti si segnala infine l’uso dell’argento per le sue proprietà disinfettanti.

MAKE UP.
Le donne greche adottavano un look molto naturale (il trucco veniva utilizzato dalle prostitute) che prevedeva l’esaltazione delle labbra tramite un estratto di oricello (tipo di licheni) e delle ciglia e sopracciglia con il nero del carbonio o dell’antimonio (avere ciglia e sopracciglia folte e lunghe era sinonimo di forte carattere). Il khol lo si ritrovava anche negli Egizi, mentre prettamente Greco era l’uso degli “ombretti “: il blu, il verde e l’azzurro erano i colori più usati. La pelle veniva illuminata con estratti di minio, ancusa o fuco per risaltare zigomi e guance. Curiosa poi l’usanza delle sacerdotesse di colorarsi i capezzoli di rosso o arancio attraverso rimedi ed estratti naturali (henné ed erbette tintorie come forse la robbia).
*Nota bene*
Alcuni prodotti utilizzati dalle donne elleniche erano però tossici! La biacca o ” bianco di piombo” usato sul
Viso per donargli pallore è un tipo di carbonato di piombo che usato a lungo causa il danneggiamento irreversibile della struttura dell’ epidermide e può causare morte se ingerito. Inoltre toglierlo dal viso era ostico perché resistente all’ acqua. Per far durare poi a lungo il color rosso delle labbra usavano il solfuro di mercurio che è una sostanza altamente tossica.

 

CAPELLI.
Udite! Udite! Mie care bricciole dobbiamo ai greci antichi l’amore e la cura dei capelli ricci. Per i greci erano i capelli degli eroi dalle grandi gesta ed avevano una vera e propria ossessione tanto da utilizzare appositi pettini in osso, bronzo o avorio e, ahimè, anche il ferro per arricciare e gestire al meglio le lunghezze. La cura dei capelli era un vero e proprio culto tanto da avere un patrono: la ninfa Psecas acconciatrice della dea Artemide. Per i capelli venivano utilizzate essenze di spezie, fiori e oli. Si usava far bollire fiori ed erbe come mirra, incenso, foglie di vite ed estratti di rosa da utilizzare a solo o in Unione all’olio d’oliva. Per ammorbidire, districare e nutrire i capelli usavano lozioni, balsami e cera d’api. Usavano tinte vegetali come l’henne e le altre erbette tintorie ma soprattutto , nota dolente, avevano una passione spasmodica per il biondo. Nonostante la maggioranza di uomini e donne avessero capelli scuri, il biondo era amato e prediletto. Per tale ragione sì schiarivano i capelli con una varietà di soda, sapone di olio e soluzioni alcaline provenienti dai Fenici, che veniva applicata sui capelli e lasciata agire esposta al sole ( insomma l’antenata della decolorazione). Il colore veniva poi “tonalizzato” con una miscela di polline, farina gialla e polvere d’oro (alla faccia!).
Infine altra piccola chicca: si deve a loro la nascita dei primi saloni di coiffeur chiamati ” koureia”. Le donne usavano portare acconciature perfettamente simmetriche con una parte centrale e ricci raccolti presso la nuca. Se posso vi lascio con un mio pensiero a chiusura del mio lavoro: in ogni società vi sono sempre stati i problemi sociali che ritroviamo ancora oggi. Gli stessi pregiudizi ci perseguitano da secoli. Noi donne siamo state vessate nella nostra libertà e la sessualità è stato per troppo tempo deterrente per la nostra realizzazione paritaria. Come le etere e le donne ateniesi, anche noi oggi. Pertanto vi invito ad esser meno violente verso il nostro stesso sesso perché spesso siamo noi stesse la causa del nostro male.

 

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