A cura di Paola Hiluku
La nostra rubrica di bellezza si colora di rosso… Rosso sangue!
Oggi la nostra ospite sarà: la CONTESSA ERZSEBET BATHORY.
La contessa Dracula, la torturatrice di giovani e belle ragazze, la donna più malvagia della storia.
IL CONTENUTO DI QUESTO ARTICOLO È ESTREMAMENTE VIOLENTO, CRUENTO, DETTAGLIATAMENTE MACABRO.
SE SIETE SENSIBILI VI CONSIGLIO DI NON LEGGERLO
LA VITA.
Erzsebet nacque a Nyìrbàtor, un piccolo villaggio ungherese, nel 1560, da una famiglia nobile: Gyorgy Bathory ed Anna Bathory, sorella di Stefano Bathory re di Polonia.
Il Clan dei Báthory comprendeva cavalieri, giudici, vescovi, cardinali e re.
In quel periodo l’Ungheria era sconvolta dalla guerra tra gli Amburgo e i turchi ottomani, per questa ragione la famiglia decise di spostarsi in Transilvania, accolti dal principe del luogo, Gabor, cugino di Erzsebet.
Gabor era un uomo fuori dal comune, selvaggio e violento, ma, a quanto pare, non era l’unico componente della famiglia ad essere “particolare”: il fratello di Erzsebet, Istvàn, era un maniaco sessuale senza freni, perverso e degenerato che raccontava alla sorellina le pratiche sessuali più in voga in Europa.
La zia preferita di Erzsebet, la contessa Karla, era una delle più famose lesbiche ungheresi, ed insegnò alla giovane Erzsébet pratiche di flagellazione e perversioni varie, che la istruirono al piacere di infliggere dolore.
Nella sua famiglia erano comuni i casi di malattia mentale, probabilmente per i continui matrimoni tra consanguinei.
Si racconta che la sua balia fosse dedita alla magia nera, faceva incantesimi utilizzando sangue e ossa di bambini per i suoi rituali.
Buon sangue non mente, ma la nostra Erzsebet a questo punto della storia, era ancora una piccola bimba innocente, anche se si suppone fosse nata già con qualche malattia mentale, certamente soffriva di fortissimi mal di testa, accompagnati da crisi convulsive ed epilettiche che le causavano dei gravi scatti d’ira (una delle prime isterike della storia, insomma).
Si racconta che all’età di sei anni, vide la condanna di uno zingaro: l’uomo venne cucito all’interno del ventre di un cavallo fatta eccezione per la testa e così fu lasciato morire.
Alla morte di suo padre, Erzsebet, a soli 10 anni, venne promessa in sposa a Ferencz Nàdasdy, di sette anni più grande di lei, anch’egli di famiglia nobile. Si trasferì così nel castello solitario e selvaggio di Leka, di proprietà dei Nadasdy, per essere istruita alla vita matrimoniale dalla suocera Orsolya.
Orsolya era una donna austera e severa che insegnò alla già colta Erzsebet a leggere e scrivere in tedesco, ungherese e latino. La istruì al governo della casa ed a dare ordini alla servitù, oltre che al comportamento da tenere in società, all’organizzazione di feste, balli e riunioni di famiglia. Erzsebet era accondiscendente verso la suocera, ma la detestava in quanto le impediva di oziare e di avere idee personali.
L’8 Maggio 1575, Ferencz e la quindicenne Erzsebet convolarono a nozze e si trasferirono insieme ad Orsolya ed alla servitù nel castello dei Nadasdy a Csejthe in cima ad una collina, al termine di un impervio sentiero nella foresta. Si racconta che sotto al suo vestito nuziale furono cuciti dei talismani per essere feconda, essere amata, per piacere sempre e perché la sua bellezza restasse immutata nel tempo.
Su Ferencz abbiamo letto fonti contrastanti, veniva dipinto come un uomo malvagio e con squilibri mentali tanto da alimentare l’uno la malattia dell’altra. Si narra anche che la prima notte di nozze abbia abusato violentemente di Erzsebet e che avesse scritto persino trattati in cui raccontava dettagliatamente le sue torture preferite, principalmente riservate alla servitú. Pare che l’abbia istruita ad alcune delle sue più cruenti pratiche.
Altre fonti vogliono invece che Ferencz fosse un uomo buono, disinteressato alle pratiche sadiche della moglie e che, anzi, negli ultimi anni della sua vita si fosse interessato ed avvicinato alla religione.
Quello che accomuna le fonti è che Ferencz fosse uno dei più grandi guerrieri nazionali e, per questa ragione, si assentava spesso ed a lungo da casa per combattere contro i turchi.
Erzsebet soffriva la lontananza del marito: con Orsolya si sentiva come chiusa in gabbia, costretta a far figli che purtroppo non venivano ed a dedicarsi alla casa.
LA CURA DELLA BELLEZZA.
Erzsebet era una donna particolarmente bella. Aveva lunghi e folti capelli neri, occhi corvini, pelle liscia e candida, labbra carnose e sensuali. Era anche molto vanitosa, inclinazione che la suocera le impediva di coltivare. Comincio’ così a trascorrere gran parte del suo tempo chiusa in camera con le sue fidate cameriere che, per ore, le acconciavano i capelli intrecciando fili di perle e di diamanti nelle ciocche, la truccavano, la cambiavano d’abito… Anche quindici volte al giorno, per poi disfare tutto non appena Orsolya si fosse trovata nei paraggi.
SIETE ANCORA IN TEMPO PER FERMARVI
Ossessionata dalla sua bellezza, si circondava di specchi e pretendeva continue conferme della sua bellezza da parte della servitù e di chiunque la incrociasse. Cospargeva il suo corpo di creme ed unguenti e cercava continui rimedi per mantenere la sua pelle candida e giovane, tanto da organizzare un piccolo laboratorio nella sua camera dove distillare e bruciare piante, usate poi dalle serve per produrre cosmetici.
Nel frattempo i suoi disturbi iniziarono ad acutizzarsi e cominciò a scoprire che torturare la servitù le procurava un piacere in grado di lenire le sue sofferenze e calmare le sue crisi.
Il ritrovamento nelle cantine di vecchi strumenti di tortura iniziò a stuzzicare la sua fantasia. A quell’epoca punire la servitù non era pratica strana o malvista, Erzsebet chiese così quotidianamente che venissero portate al suo cospetto cameriere colpevoli di qualche azione, solo per poterle punire. Se una sarta aveva fatto conversazione durante lo svolgimento del suo lavoro le veniva cucita la bocca con del filo nero, se una cameriera non aveva stirato a dovere un suo abito le venivano bruciati i piedi o il volto. Chi invece aveva rubato anche solo qualche spicciolo veniva cosparso di miele e legato ad un albero di notte nel cuore della foresta, in balìa degli animali selvatici.
In quel periodo iniziarono le prime scomparse: giovani e belle donne non tornarono più a casa.
La contessa, con la scusa di offrire lavoro, adescava innocenti ragazze del paese per poi rinchiuderle nelle celle sotterranee e torturarle. Le piaceva avere rapporti lesbici con le sue vittime per poi martoriare il loro corpo con aghi e spilli.
Morta Orsolya, Erzsebet divenne finalmente madre di ben quattro bambini: Anna, Orsolya, Katà e Pal. Il pianto dei suoi figli però la disturbava ed i loro sorrisi la lasciavano indifferente, così che li affidò alla sua balia, Ilona Jo, che diventerà poi una delle sue più fedeli compagne di tortura, non appena i figli furono abbastanza grandi da essere affidati ad un tutore, Megyery il Rosso.
Nel frattempo, senza la suocera ad impedirglielo, Erzsebet poté finalmente viaggiare per l’Europa. Per giunta, le voci sulla sua crudeltà e sulle misteriose morti al castello, cominciarono a girare per il paese, così che nessuna ragazza volle più recarvisi in cerca di lavoro. Scelse la sua corte accuratamente tra i soggetti più crudeli che conosceva, per essere affiancata nelle sue malefatte: Dorottya Szentes, detta Dorko’ e Kateline Beniezky, detta Katà ed il valletto nano Ficzkó, il più terribile tra loro, mosso da odio verso le donne per i continui rifiuti e pedofilo. Ficzko’ era stato abbandonato dalla madre appena nato e venne accolto dalla servitù del castello dei Nadasdy. Cresciuto, capì che con Erzsebet avrebbe potuto finalmente dare sfogo alla sua perfida indole.
Durante i suoi lunghi tragitti, i suoi fedeli le procuravano costantemente giovani vergini da seviziare e torturare appena le sue crisi iniziavano a manifestarsi.
Decise di andare col marito a Vienna, dove erano arrivate alla corte dell’imperatore voci sulla sua presunta stregoneria. Nonostante fosse molto ammirata per la sua bellezza, risultava poco desiderata e molto temuta, perciò dopo poco ritornò in Ungheria. A 44 anni Erzsebeth si ritrovò vedova, il marito morì per una cancrena alla gamba.
Erzsebeth picchiava anche e soprattutto personalmente le sue vittime, fino a farle gonfiare, per poi tagliare i loro corpi, appenderli a testa in giù e raccogliere il loro sangue in grandi vasche.
Non si sa di preciso quando la mania dei bagni di sangue abbia avuto inizio. La leggenda vuole che, dopo la morte del marito, una serva, intenta ad acconciarle i capelli, avesse disposto le ciocche asimmetricamente ai lati del suo viso. Erzsebet, infuriata, le sferro’ un violentissimo schiaffo che fece sanguinare il naso e la bocca della serva, sporcando la sua mano. Per un gioco di luci, suggestione, o per la continua ricerca della perfezione, la narcisista contessa si convinse che il sangue le aveva reso la pelle splendida e quindi le avrebbe donato eterna bellezza.
Inizio’ così a sgozzare e dissanguare giovani vergini, per fare il bagno nel loro sangue ed anche per berlo.
La sua vanità non si fermava mai: appena i suoi abiti si sporcavano, li cambiava per poi ricominciare.
Molte volte risultava insoddisfatta della veloce morte delle persone che torturava, per questo motivo ad alcune di loro venivano cauterizzate le ferite con ferri roventi, per poi ricominciare con le torture.
Tra le tecniche di tortura che non necessitavano di veri e propri macchinari o strutture, la Contessa utilizzava aghi e spilli per perforare labbra e capezzoli delle vittime o infilare loro aghi sotto le unghie, pinze d’argento per strappare la carne, ferri per la marchiatura e attizzatoi roventi, fruste e forbici.
A Erzsebet piaceva anche legare e mordere le malcapitate sulle guance e sui seni, cavando loro il sangue con i denti o ustionarne i genitali con la fiamma di alcune candele.
Si procuro’ una pergamena in amnio (la membrana che avvolge i bambini durante la gravidanza nel ventre materno) su cui era scritto con il sangue un incantesimo che prometteva lunga vita, salute e protezione dati dal dio Isten grazie ai gatti di cui inizio’ a circondarsi.
Questa pergamena accompagnerà Erzsbeth per quasi tutta la sua vita.
Convinta da una vecchia megera di nome Majorova che il sangue di giovani nobili fosse migliore di quello della plebe, Erzsebet inizio’ a cercare le sue vittime tra le famiglie nobili cadute in miseria che erano ben felici di poter ridare prestigio alle figlie accolte in casa della Contessa. Le giovani nobili erano pero’ meno robuste delle popolane e morivano in fretta. Molte tra loro furono costrette a cuocere e mangiare parti del corpo di compagne morte, a volte di loro stesse. Non potendo disporre facilmente di vittime nella nobiltà, per saziare la continua sete di sangue della Contessa, la sua corte spietata cominciò ad ingannare la padrona, portando al suo cospetto contadine vestite con abiti principeschi e finemente truccate ed acconciate.
La componente mistica deve aver accentuato la pazzia di Erzsbeth, molte volte, di punto in bianco, in preda a deliri di onnipotenza, dopo le sue piccole stragi, faceva seppellire le sue vittime e si chiudeva nella sua cappella privata a pregare per le loro anime.
Gli abitanti dei villaggi poco potevano fare, tutti sapevano che le scomparse avvenivano per mano della contessa, ma non potevano parlare, dovevano sottostare al suo volere perché i nobili comandavano, che fossero nel giusto o che sbagliassero. Il popolo non poteva in alcun modo accusarla, pena la morte.
Nel novembre del 1607 fu invitata al matrimonio della seconda figlia del paladino Gyorgy Thurzò, festeggiamenti che sarebbero durati 9 mesi (fino alla nascita del primo figlio). La sua assenza poteva destare sospetti, così fu costretta a partecipare, ma stava sempre sulle sue e la sua vita mondana si riduceva ai banchetti serali con gli altri commensali. Il resto del tempo lo trascorreva con il suo fedele entourage trovando scuse per punire la servitù. Una ragazza riuscì a fuggire, nascondendosi nel bosco innevato. Venne trovata poco dopo e posta nuda al centro di un cerchio di fedeli di Erzsebet che a turno gettavano acqua fredda sul corpo della ragazza finché non morì congelata in un grido di terrore.
Nel frattempo all’imperatore era succeduto il fratello Mattia a cui erano giunte voci sempre più inesistenti sulla tirannia di Erzsbeth.
Questa per il re fu una grande occasione: pare dovesse molti soldi alla Contessa, le cui finanze si erano sensibilmente ridotte, tanto da costringerla a vendere quasi tutte le sue proprietà.
Il re organizzò a Bratislava una grande riunione del Parlamento a cui avrebbero partecipato nobili, cavalieri e paladini, molti dei quali chiesero ospitalità alla Contessa presso il suo castello.
Il re Mattia giunse con Thurzò al cospetto della Contessa, cercando prove ed interrogandola sulle voci che circolavano sul suo conto. Erzsebet negò, incolpando il tutore dei suoi figli di aver gettato fango sul suo nome perché la odiava e giustifico’ le morti al suo castello con incidenti ed epidemie.
Appena gli ospiti lasciarono il castello per la riunione al parlamento, la preoccupata Erzsebet decise di partire per la Transilvania in cerca di protezione da parte del cugino Gabor. Prima però voleva sfogare lo stress sul corpo di alcune giovani.
Il parlamento di Bratislava aprì il caso Bathory e Thurzò fu incaricato di occuparsene. Venne creata una squadra di fedeli soldati, che durante una gelida notte arrivarono al castello, che non era stato ripulito a dovere. Trovarono ogni superficie ricoperta di sangue, fresco e incrostato, ogni strumento, ogni persona. Nell’aria aleggiava un fetore di morte.
I soldati riuscirono a liberare e portare in salvo un gruppo di ragazze vive, traumatizzate fisicamente ma soprattutto mentalmente.
Salirono ai piani alti, alla ricerca della Contessa, ma trovarono un’orgia immersa nel sangue. Erzsbeth non c’era, aveva scoperto dell’invasione ed era riuscita a fuggire. Pochi giorni dopo venne catturata.
Venne rinchiusa nel suo castello e circondata da un piccolo esercito, in attesa del processo al quale non partecipò.
Si difenderá sempre, non ammetterá mai nulla.
Poco dopo gli ufficiali giudiziari si recarono al castello per un sopralluogo, trovando facilmente cadaveri in ogni posto, corpi semi bruciati nel camino, corpi privi di arti, ossa nei recinti dei cani, effetti personali nelle stanze private della contessa.
Il processo comincio’ il 2 gennaio 1611, presieduto da ventuno giudici. Si susseguirono moltissimi testimoni, anche 35 al giorno, soprattutto parenti delle vittime. Il 7 gennaio dello stesso anno si concluse.
A tutti i servitori di Erzsebet vennero poste le stesse 11 domande, riguardo alla provenienza delle vittime, i metodi di tortura e al coinvolgimento della Contessa.
Vennero documentate le testimonianze:
Ficzko, che lavorava per la Báthory da 16 anni, dichiarò di essere stato assunto con la forza. L’uomo non ricordava il numero preciso delle donne che aveva contribuito ad uccidere, ma ricordava il numero delle ragazzine: 37. Cinque seppellite in una fossa, due in giardino, due in una chiesa, le altre chissà dove. Il nano raccontò le più agghiaccianti torture, come le donne uccise a frustate o tagliando loro le dita e le vene con delle cesoie.
Ilona Jo, ammise di aver ucciso circa 50 ragazze, infilando degli attizzatoi incandescenti nella loro bocca e nel loro naso. La padrona invece preferiva infilare le dita nella bocca delle ragazze e tirare, fino allo strappo della pelle, oppure dare fuoco alle loro gambe dopo averle cosparse di olio, oppure ancora tagliare con delle cesoie la pelle fra le dita.
Darko’ confessò che la Báthory usava anche applicare alle vittime delle scarpe di ferro bollente. C’erano anche le favorite di Erzsebet, costrette ai trattamenti peggiori: tagliarsi da sole le braccia, essere rinchiuse nella Vergine di Norimberga. ..e via dicendo.
Le testimonianze continuarono una dopo l’altra, sempre più sconvolgenti e mostruose, soprattutto quelle raccontate dai superstiti, molti dei quali segnati a vita.
Non si sa per certo a quanto ammonti il conto delle vittime della Contessa Sanguinaria. Il Re in una lettera al Primo Ministro scrisse 300, ma sui diari di Erzsébet Báthory sono annotati i nomi di circa 650 persone, sembra incredibile che la Contessa abbia annotato una per una le proprie vittime. I Giudici, basandosi sui resti umani trovati al castello, decisero di condannare lei e i suoi complici “solo” per 80 omicidi.
Ilona Jo, Dorko’ e Katà vennero condannate al rogo. Ficzko venne decapitato.
Le figlie di Erzsebet ed i loro mariti riuscirono a farle evitare la pena di morte. La contessa venne così condannata a vivere in una delle stanze del suo castello, senza accompagnatori e con le finestre murate.
Dopo 4 anni di segregazione e solitudine, la Báthory venne trovata morta, da una guardia incaricata di portarle i pasti.
La Contessa giaceva sul suo letto, vestita di bianco (il suo colore preferito) agghindata con i più lussuosi gioielli e, si dice, bellissima.
Il mito della Contessa Sanguinaria è nato fin da subito. Oltre ad essere stata la serial killer più prolifica della storia è anche una delle pochissime donne ad aver praticato cannibalismo e vampirisimo. Quest’ultima caratteristica l’ha fatta diventare un personaggio di culto dell’immaginario vampiresco, quanto il celebre principe Vlad III Dracula di cui si dice fosse anche parente.
Fonti: blog Occhi Rossi, lega nerd, la tela nera, Assassine.